Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
frequenza elementarePaesi di emigrazione
LibiaData di partenza
1929Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Nel 1933 Francesco ha appena dieci anni e, malconsigliato dai genitori, decide di abbandonare gli studi per intraprendere il primo di una lunga serie di lavori.
Il primo ricordo che ho di Tripoli è che, all’indomani del mio arrivo, affacciandomi alla porta di casa, vidi che giocavano tanti miei coetanei, uno di questi, E. C., vedendomi con un cappellino tondo in testa, mi disse: «dado» cioè ebreo. Io, pur non sapendo il significato, ma intuendo che mi aveva offeso, mi avvicinai a lui e lo presi a pugni e lo mandai a casa piangendo. Nella mia fanciullezza ho combinato un’infinità di marachelle, come tutti i bambini di questo mondo, ma penso, e ne sono sicuro, che la mia vita sarebbe stata diversa da come si è svolta se anche io avessi avuto la mamma che mi avrebbe protetto non riferendo mai a papà quello che combinavo durante la giornata, quando la sera tornava dal lavoro. All’inizio dell’anno scolastico mi segnarono nella terza classe elementare presso la scuola Roma; il mio maestro si chiamava C. iniziai immediatamente svantaggiato rispetto ai miei compagni, non sapendo parlare bene l’italiano e storpiandolo con frasi miste di siciliano. Esempio, un giorno papà mi mandò a comperare le sigarette ed i cerini; il tabaccaio era poco distante da casa, si chiamava T. papà mi disse: «devi farti dare un pacchetto di sigarette Tripoli ed una scatola di, fiammiferi di legno». Io ripetei la frase per tutta la strada. Quando arrivai, al banco c’era P, il fratello maggiore di quello che sarebbe diventato il mio migliore amico G., mi chiese cosa volevo ed io: «un pacchetto di sigarette Tripoli e una scatola di cerini di ligno», è quando mi rimarcò la parola ligno mi vergognai come un ladro, anche perché nel negozio vi erano altri clienti. Come ho detto, a scuola andavo maluccio e non avevo nessuno che mi aiutasse a correggere i miei scritti, per cui non facevo quasi mai, i compiti non riuscivo a capirli e se li facevo, erano sbagliati. Dopo qualche tempo i miei pensarono di mandarmi, nel pomeriggio a studiare a casa dei L. poiché L. era insegnante. Ci andavo volentieri perché lì tutti mi volevano bene sapendo qual’era stata la mia infanzia e trovai tra loro tanta comprensione ed affetto come i miei, pur avendone, non mi dimostravano. In tal modo, oltre ad iniziare a capirci qualche cosa, ero pure tranquillo di non essere più sgridato. Continuai a prendere lezioni finché non finii di frequentare la quarta classe elementare, anno in cui, stanco anche dei rimproveri avuti in precedenza, non volli più studiare, preferendo il lavoro; perciò non presi la licenza elementare. A questo punto papà mi chiese che cosa volevo fare ed io gli risposi che mi sarebbe piaciuto fare il muratore come lui, certamente ignoravo a cosa andavo incontro e mai mi fu spiegato l’errore che stavo per fare, ma ero contento di lasciare libri e quaderni e rimproveri soprattutto. Me ne accorsi ben presto quando dovetti iniziare a caricare sulle spalle i secchi pieni di calce e portarli al secondo o terzo piano e sempre più in alto man mano che le costruzioni si innalzavano.
Il viaggio
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