Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Venezuela, ColombiaData di partenza
1987Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)È il primo giorno che Ferruccio Bolognani trascorre a Caracas. Si immerge nella vita della metropoli e racconta gli scorci e le sensazioni che intravede.
Dopo quasi 5 ore, il comandante comunica le operazioni di avvicinamento a Caracas. Ci invita a portare avanti di un’ora le lancette dell’orologio. Nella fase di atterraggio, intravedo le luci della costa, e di qualche isola, forse anche di una nave. Alle 24,45 le ruote dell’A-300 si posano sul suolo dell’America latina. In Italia sono le 5,45 di un nuovo giorno.
“Bienvenidos a Caracas”! Le operazioni della dogana nell’aeroporto intercontinentale “Simun Bolívar” sono relativamente semplici. Per gli italiani non é necessario il “visto”. Basta compilare il modulo “turistico” per ottenere il permesso di soggiorno di un mese, facilmente rinnovabile. Prendo un taxi per raggiungere la Capitale. Il mio spagnolo funziona e così posso raccogliere dalla voce dell’autista alcune informazioni.
L’autostrada si snoda tra buie montagne. Si supera un punto panoramico con la visione del litorale illuminato di Maiquetía. Dal finestrino penetra la brezza fresca della notte. Sostituisce l’impianto rotto dell’aria condizionata che dovrebbe mitigare la calura. Il taxi corre veloce. Quando ci avviciniamo alla città si incontra un po’ di traffico. Le luci di Caracas non sono così intense come quelle delle città degli Stati Uniti. Quelle tenui sulla collina mi fanno intuire dove si celano le “favellas”. Superiamo un cavalcavia e rallentiamo ad un incrocio. Sulla veranda di una casa c’é animazione attorno a tante candele. Un catafalco ricoperto di drappi mi fa indovinare la strana cerimonia. L’autista mi conferma che si tratta di una veglia funebre. E’ una abitudine che si tramanda nei quartieri storici.
L’hotel Tampa non ha camere libere; ma non sono convinto. Mi pare che il maitre, sprofondato nella poltrona, non abbia tanta voglia di perdere il programma della televisione. Il taxista mi consiglia un altro albergo. Percorre l’autopista, che taglia in due la Capitale, e mi porta al Centro Huslar Hotel. Mi chiede 25 dollari. Forse sono stato imbrogliato. Noto il suo conciliabolo con il direttore per una mancia supplementare.
L’albergo é inserito in un nuovo centro commerciale e turistico. E’ molto accogliente e silenzioso. La camera é quasi lussuosa. L’arredamento é moderno e confortevole. Dalla finestra del 7° piano si domina parte della città. La temperatura mite é appena rinfrescata dalla brezza notturna. Respiro volentieri quest’aria profumata dalla vegetazione del parco. Dopo una doccia, accendo il tv-color e mi lascio penetrare nella nuova realtà. Alle due di notte, scrivo i primi ricordi sul diario che mi accompagna in questa avventura. Poi spengo la luce.
CARACAS,-27 de octubre
Il taxi mi porta a “El Silencio”, nella parte storica della città. Poi imparo a districarmi nella confusione di una metropoli che dispone di mezzi di trasporto efficienti; ma sgangherati. Mi ricordano quelli di La Valletta, nell’isola di Malta. In una libreria acquisto il “plano de Caracas”. Mi sembra una città cresciuta senza un progettazione edilizia. Le quadre, distinte da nomi, sono delimitate da vie Sur, Oeste, Norte, Este, con dei numeri progressivi.
Devo impratichirmi per non fare confusione. E’ una caccia al tesoro, mi sto divertendo. Meno male che ci sono anche delle Avenide. Dividono la Capitale in decine di centri satelliti, quasi autosufficienti. Alcuni hanno denominazioni originali: Las Brisas, El Folverin, Aanicamio, Ultimo Tiro, La Carlota, Guaicaipuro, Xacaracuay. Altri sono romantici: Bella Vista, Vista Alegre, El Paraiso, Bello “onte, Colinas de las acacias. Molti come omaggio ai santi: San Bernardino, Santa Abnica, Santa Sofia, San Ratael, El Calvario, El AUlagro, Santa Rosa.
Sono collegati dalla autopista principale, simile ad una spina dorsale , da cui si dipartono e convergono tutte le strade. C’é un intreccio di sottopassaggi, raccordi e connessioni sopraelevate. Danno l’impressione di essere in una grande Capitale moderna e attiva. Quasi parallela all’autostrada, sorge la prima linea della Metropolitana. E’ in fase di avanzata costruzione. Gli scavi a cielo aperto formano enormi crateri. Le difficoltà del Centro debbono rallentare ì lavori che procedono da un decennio. Nei 15 km funzionanti da Pro Patria e Chacaito si trovano 14 stazioni. Sono state sponsorizzate da Banche, Enti e Industrie. Offrono una varietà di soluzioni architettoniche; quasi fossero una palestra per la gara dei progetti in concorso. L’elettronica presiede ogni funzione. La modernità dei convogli, realizzati in Francia, mi invitano a viaggiare da una stazione all’altra per ammirare e apprezzare certe anticipazioni di avanguardia. Credo sia la miglior metropolitana che io abbia visto, dopo quella di San Francisco. La musica, le scale mobili, le facili e chiare indicazioni, il pratico sistema automatico per i biglietti a controllo elettronico, rendono il viaggio interessante e confortevole.
Il contrasto con il traffico dei trasporti di superficie si fa stridente. Lo osservo quasi divertito. Non so se paragonarlo a quello di Napoli o di Città del Messico. I mezzi sono efficienti; ma sono il frutto della fantasia di ogni proprietario. Chi può acquistare un rottame di pullman, dopo l’autorizzazione comunale, si trasforma in un padroncino o si unisce in cooperative per gestire una linea. Percorre l’itinerario di maggior traffico scrivendo con lo spray il nome dei due capolinea. Poi si affida al buon cuore dei passeggeri per riscuotere la tariffa, senza alcun biglietto o scontrino di controllo. Incollati sul vetro rotto e all’interno, ci sono numerosi foglietti con suppliche: “per favore, pagate il passaggio!”, “ho anch’io una famiglia da mantenere”, “siate onesti, pagate!”.
Il conducente-padrone deve pensare a guidare, a riscuotere la tariffa e a fare in modo che il suo traballante “autocarro” possa arrivare alla prossima fermata prima di un altro concorrente, per prendere più passeggeri a bordo. La manovra di sorpasso in seconda corsia avviene abbastanza bene. Ma la più spettacolare é in terza corsia…perché non c’é. Invade la carreggiata sinistra, con spericolate rincorse, rasentando le fiancate di altri pullman e delle macchine che procedono in senso contrario. Sovente raschia la vernice e fa trattenere il fiato. Le macchine per evitare pericolosi scontri frontali; frenano ma non strombazzano. Gli autisti sono abituati ad una circolazione fatta di imprevisti e non inveiscono.
Non ricordo di aver visto macchine intatte. I fari rotti, le fiancate striate e le varie ammaccature sano una componente di automobili tenute insieme da filo di ferro e saldature supplementari.
La parte più divertente la fanno i vigili nei punti critici degli incroci. Aiutano a rispettare i semafori con una salve di fischi. Sembrano degli arbitri, inascoltati e impotenti, nel caos che si crea e si scioglie lentamente, come per accordi taciti tra gli automobilisti. Tutto questo lo vedo dal finestrino del primo sedile del “colectivo”, urbano.
Sono pressato al fianco destro dalla morbida carne di un donnone. Si é insediata con tre borse di plastica e con una bimba seduta comodamente in grembo. Osservo il viso dolce e la treccina che raccoglie i capelli neri della piccola. Il volto della donna non é male! Forse dimostra più degli anni che ha. Se non fosse per gli abiti dimessi, direi che non soffre la fame. Sono contento che mi sieda accanto. Mi ripara dalla compressione creata tra i passeggeri che si accalcano nel corridoio, nell’ora e mezza di viaggio per arrivare alla meta. Questa mattina lo stesso viaggio in taxi é durato 15 minuti.
Si é fatto buio e molti passeggeri non trovano i centesimi di Bolivar per pagare la corsa. L’autista accende delle piccole lampade votive davanti alle immagini di santi e vergini, e inutilmente supplica i più vicini. Ad un certo momento perde la pazienza e, trovato un varco, spinge al massimo il suo pullman, zigzagando nel traffico. Chi deve scendere alla prossima fermata, la intravvede appena. Si alzano voci di protesta e di improperi. Si sentono calci alle portiere che rimangono chiuse. Poi finalmente, dopo un cavalcavia, la “parada”. Scendono con grande confusione le borse e i fagotti di una giornata di lavoro. Il pullman si é quasi vuotato. Con la mancia l’autista é particolarmente gentile e mi porta a 20 metri al Centro Huslar Hotel.
Ho trascorso una giornata ricca di esperienze. Ho incontrano anche delle difficoltà, ma é stato facile superarle. Sono contento! Questa sera mi sento un cittadino di Caracas. Ho camminato e ho viaggiato come uno di loro, in mezzo a loro. Credo di essermi avvicinato alla gente per comprendere meglio la mentalità e la vita apparentemente tranquilla.
Il viaggio
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