Mestieri
militareLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
BosniaData di partenza
1996Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Temi
Camillo Ippolito, maggiore dell’Esercito Italiano, Capo Sezione Operazioni e Addestramento presso il Comando della Brigata bersaglieri “Garibaldi”, nel 1996 parte in missione nei Balcani. La destinazione è Sarajevo: la capitale della Bosnia è martoriata da 4 anni di un conflitto che, sulla carta, si è concluso da pochi mesi. Ma la tensione e la devastazione sono ancora la realtà di tutti i giorni, destinata a riaffiorare nell’estate dello stesso anno con l’ennesimo conflitto, questa volta in Kosovo, che attraversa l’area balcanica. Quella alla quale partecipa Ippolito è una missione di Peace keeping, dal gennaio al giugno del 1996. Nel diario curato dal maggiore, affiorano sentimenti, emozioni ed azioni e la percezione di sé come di un “soldato di pace” utile al miglioramento della vita di altri meno fortunati e, per questo, gratificato malgrado le numerose rinunce ed i grandi sacrifici imposti a se stesso e, soprattutto, alla sua famiglia. “Questo ‘diario’ l’ho scritto durante sei mesi di permanenza in Bosnia Erzegovina nel quadro dell’Operazione “Joint Encleavour” (IFOR). In esso sono racchiusi tutti i sentimenti, le angosce, le paure e le sensazioni che provavo. Esso riporta fedelmente ciò che su di un diario annotavo e che effettivamente utilizzavo anche per avere una traccia del mio operato in Sala Operativa. In questi sei mesi, qualche volta mi è capitato di restare da solo e pensare. Pensare ai miei cari a Salerno. Qualsiasi azione da me intrapresa era lo specchio, in ogni caso, dei miei sentimenti. Non ho mai, vedendo dei bambini per strada, potuto fare a meno di confrontarli con i miei figli. Vedere la differenza tra loro e questi poveretti cui mancava tutto, proprio tutto, mi ha sempre rattristato. Il confronto metteva in risalto le condizioni di vita dei miei figli e oli questi bambini. Il vestitino rosa per mia figlia e quattro stracci colorati per una bambina, il completo da calcio per mio figlio e un pantaloncino ed una maglietta stracciata per il bambino che giocava a palla, per strada. Le sensazioni riportate nel testo hanno come torna base questo raffronto ed il rimpianto di non aver potuto godere dei miei figli quando erano piccoli, quando, forse, avevano pii] bisogno della mia presenza. La consolazione, però, di aver aiutato tanta gente che aveva certamente bisogno di tutto, anche di affetto, di un sorriso, oli una parola dolce. Una persona che ha perso tutto, casa, famiglia, affetti cari, generalmente si accontenta di poco. Non chiede. Il dolore, la disperazione hanno sempre il sopravvento su altri sentimenti. Unica eccezione, in questo caso, é l’odio ed il risentimento che essi provavano nei confronti di coloro i quali avevano fatto tanto male a loro, ai loro familiari, ai loro amici. Un odio troppo forte e radicato da essere dimenticato in poco tempo. Auguri, comunque a questi “amici” cli trovare con l’aiuto di Dio la pace e la serenità che, forse, non hanno mai avuto e di ritrovare la speranza in un futuro migliore, non fatto cli guerre, distruzione ed odio ma di pace fraterna e democratica”.
Il viaggio
I racconti
Sui cieli di Sarajevo
Il 20 gennaio 1996 è iniziata la mia avventura, nell'ambito della Missione nella ex Jugoslavia e...
L’ospedale Zetra
Infine atterraggio perfetto, ma tutto di corsa, i bagagli scaricati come sacchi di patate e la...
La prima visita in città
Il giorno successivo, domenica, decisi, insieme ad un collega, di fare un giro per la città...
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Il Comando del contingente, ovviamente, aveva bisogno di interpreti, sia per riuscire a colloquiare con persone...
Gli amanti del ponte di Bratsva
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“La guerra è una cosa sporca”
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