Mestieri
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laureaPaesi di emigrazione
IraqData di partenza
2003Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Temi
guerraTemi
guerraIn pochi giorni l’esercito americano entra a Baghdad, chiudendo sostanzialmente il conflitto contro Saddam Hussein già ai primi di aprile. Il leader iracheno fa perdere le sue tracce mentre le truppe statunitensi abbattono la sua statua a piazza Firdos, un’immagine che fa subito il giro del pianeta e che resterà come simbolo di quel conflitto. Marinella è lì quel giorno, protesta contro la guerra e l’occupazione, è una pacifista e ha un confronto a muso duro con un soldato.
9 aprile.
Enormi, le dure scaglie colore della sabbia, e i lunghi pungiglioni quanto avranno ucciso nella traversata del deserto prima di arrivare di colpo qua sulla Abu Nuwas, scorpioni sarcastici in un incubo di pieno sole? Immobili, ora, non hanno bisogno di muovere le zampe per incutere terrore. Scorpioni metallici, invulnerabili, e per questo suscitano solo avversione, a differenza di quelli veri che prima o poi qualcuno schiaccerà, o che possono morire di fame e sete.
Non so chi ha detto: “Sono là fuori”, a noi “pacifisti” (e che vuol dire in effetti?) comparse insignificanti in un film sempre più scontato eppure incredibile, come tutta questa guerra impossibile fatta e vinta. Sono arrivati, così di colpo; hanno preso possesso del centro. Ecco perché la notte scorsa è stata così tranquilla che per lo stupore mi sono svegliata più volte. Settimane, ci vorranno settimane dicevano tutti. Ci si chiede se c’è stata una resa, un atto formale, un 8 settembre iracheno, che sarebbe poi un 8 aprile. Dove sono spariti tutti, militari e funzionari governativi? E perché non c’è stata resistenza popolare? Quest’ultima domanda è ben poco legittima da parte nostra; come se noi, dalla nostra protetta posizione, avessimo il diritto di avanzare simili pretese.
Senza slogan, senza nessuno con cui esibirli, mi avvio piedi di piombo verso l’hotel Palestine, perché certo staranno tutti là, a scaldarsi sotto il sole delle telecamere. Portare la bandiera della pace? Ma è sconosciuta qua; qualcuno potrebbe scambiarla per un benvenuto. Comunque, si tratta di un altro simbolo straniero, e ce ne sono già troppi. Nella migliore delle ipotesi una sola bandiera non fa primavera; parrebbe uno sfoggio esibizionista, alla ricerca di flash. Del resto qualche giorno fa un iracheno mi ha detto: “Pacifista? E dov’è più la pace?”. E poi, due milioni di bandiere non hanno fermato la guerra. Avrei ritenuto più utili due milioni di boicottatori, ma non ci sono stati. Dunque la bandiera, una bandiera qui non farebbe affatto primavera.
Intanto, là sulla piazza Firdos, troppo lontano per la mia miopia, troppo lentamente per la mia ansia, esseri umani si arrampicano sul basamento che regge la statua di Saddam all’interno del cerchio di colonne. Le passano qualcosa al collo. Un cappio, credo, una catena. Mi sembra uno in divisa, un marine dunque? In mondovisione, alcune decine di uomini si incaricano di dichiarare nel modo più simbolico possibile che “l’Iraq accoglie i liberatori”. Ecco i marines in azione, ecco spuntare la bandiera a stelle e strisce lassù. A quel punto distolgo lo sguardo: è troppo. Un militare è seduto per terra, sporco intorno agli occhi azzurri, li incrocio e lui mi chiede che faccio lì. Glielo dico, e comincio con frase a effetto: “Avete ucciso moltissimi bambini in questa guerra!”. E lui: “Non ho ucciso nessun bambino, ho combattuto contro soldati, non sono un pilota”. “Eh già, ma la guerra è stata soprattutto aerea, no?”. “Sì, è sempre brutto quando muoiono bambini”. “E allora?”.”Ma siamo qui per difendere il mio paese dalle armi dei pazzi, i miei bambini, ne ho tre”. “Ma questo è proprio il modo per farsi volere male, non avete visto 1’11 settembre?”. Il soldato riflette e sta per rispondere ancora; arriva un altro e gli dice: “Non una parola di più, taci”.
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