Paesi di emigrazione
GreciaData di partenza
1941Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
guerraTemi
guerraSi è da poco consumato lo scontro navale a laro di Capo Matapan, una delle più gravi disfatte nella storia della marina italiana. Beleffi è tra i superstiti naufraghi dell’incrociatore Zara.
Intanto diversi zatteroni erano già stati calati a mare, in quel momento stavano calandole due dalla torre tre. Mi affacciai alle draglie: uno zatterone stava staccandosi allora dal bordo col carico umano al completo, sembrava un grappolo da quanta gente vi era sopra, una attaccata all’altra, pure io sarei dovuto partire con uno di quei ciambelloni. Ricordo di avere visto a poppa il signor Michelli, fino allora considerato cattivo di animo data la sua severità che infondeva coraggio a tutti, aiutava la gente a infilarsi il salvagente, cercava di far tornare la calma, si tolse perfino il suo salvagente per darlo a un marinaio che ne era sprovvisto. Il signor Foldi, invece, appoggiato a una mitragliera da trentasette stava fumando una sigaretta, l’ultima sigaretta; ammirai il suo sangue freddo e sprezzo del pericolo: era richiamato e aveva moglie e figli. Intanto accanto a me Tacconelli mi diceva: “sai nuotare Giovanni”? alla mia risposta di si, aggiunse “io no e ho moglie e figli”: Buttiamoci in acqua, dissi, il salvagente ti regge poi ci attaccheremo a uno zatterone: Mi ero levato le scarpe, e guardavo giù quell’acqua nera che avrebbe dovuto ingoiarmi. Uno zatterone era in bilico pronto a essere buttato giù, scavalcai le draglie, mi calai penzoloni, e misi i piedi sull’orlo della corazza esterna; in quel mentre le eliche vennero rimesse in moto, io ero sul lato dritto della nave, dal lato sinistro sentiamo un grande urlio uno zatterone che era in acqua era stato preso dal vortice delle pale dell’elica che frantumavano tutto, compresa la gente che vi si trovava sopra, i corpi venivano tagliati come da scure e i pezzi volavano da tutte le parti. Tacconelli di sopra mi urlava: “Giovanni si riparte risali, risali”. “E’ una parola, tirami su con una mano”, dissi non avevo finito di dirlo che l’elica si rifermo di colpo: uno zatterone cadde a una diecina di metri da me, si avvicinava, era vuoto, un attimo di indecisione e giù nell’acqua, attaccarmici e salir sopra fu tutt’uno. Intanto la corda che lo legava a bordo andò in tirare e si fermò, “Giovanni: Giovanni!” “Buttati Giorgio.” Intanto da bordo cadde una pioggia di corpi che tentavano di raggiungere la zattera, pure Tacconelli si buttò e fortunatamente cadde nell’acqua proprio a centro dello zatterone. Li per lì constatai che l’acqua era quasi calduccina, ma forse era l’impressione che avevo che me la faceva parere tale, perchè dopo una mezz’oretta battevo i denti. Mentre la gente seguitava a tuffarsi a mare, tutt’a un tratto la corda che ci teneva legati al bordo si sciolse o si spezzò e la corrente ci trascinò verso prora. In zattera ci contammo: eravamo sei soli, gli altri non avevano fatto in tempo ad attaccarsi. E pensare che ogni zatterone teneva a galla un centinaio di persone almeno con tutti quelli che potevano stare attaccati ai compagni; quanti avranno dovuto fare assegnamento sulle sole loro forze e saranno periti di sicuro. Mentre la corrente ci portava via, vidi al centro della nave, proprio a pelo acqua, uno squarcio sulla corazza di diversi metri prodotto da una granata da trecentottantuno; l’acqua entrava copiosamente dentro. Un altro squarcio identico, seppi in prigionia dai miei amici che si erano buttati a mare dalla parte opposta alla mia, era anche sulla sinistra della nave: eravamo stati presi in mezzo alla formazione nemica e quindi cannoneggiati da ambo le parti.
Intanto la zattera trasportata dalla corrente aveva già oltrepassata la prora: quattro remi legati alla rete sul fondo erano stati slegati e ci aiutavamo per distaccarci più rapidamente. Sul fondo era legata pure una cassetta di viveri, il barilotto dell’acqua mancava. Sulla zattera eravamo noi due fiorentini, un siciliano, un sardo, un salernitano, il sesto non lo ricordo. Nell’allontanarsi cominciammo le prime discussioni sulla direzione da prendere; per quello che potevamo con quelle quattro palette. Sul mare vedevamo quattro navi bruciare, bisognava stare attenti a non avvicinarsi a nessuna, altrimenti sarebbe stato pericoloso nel momento che saltava in aria. Erano: il Fiume, il Carducci, di cui non si è salvato neppure un uomo, l’Alfieri e il nostro Zara. Il Pola era a una diecina di miglia da noi. Il siciliano, pescatore di mestiere, ci consigliava di lasciarsi portare dalla corrente, la quale ci avrebbe condotti senz’altro verso terra. Dalla parte che ci trascinava la corrente sentivamo l’urlio della gente nel mare e quindi non intendevamo andarci per paura di essere presi d’assalto da quelli in acqua e quindi correre il rischio di andare al fondo. Vigliaccheria? Lo riconosco purtroppo anch’io. Ma chi può giudicarla tale? Avrebbe dovuto trovarsi in dove eravamo noi per vedere se la lotta per la vita non vinceva l’altruismo. Quelle grida che straziavano le orecchie sarebbero durate per due ore buone. Uno dei remi l’avevo io e remando come con una pagaia contro corrente incitavo pure gli altri a imitarmi; solo che uno si sentiva male, altri rimettevano. Non vorrei farmi un elogio, ma durante tutte le ventisei ore che sono stato in acqua non ho mai abbandonato il remo. Non che per tutte quelle ore ho remato, ma quando c’è stato bisogno non ho avuto un’istante di debolezza. Mentre i proiettili illuminanti si susseguivano illuminando tutto, la nave che bruciava sulla nostra dritta, il Fiume, si piego su una parte, si impennò con la prua ritta verso il cielo e lentamente, scivolando di poppa sprofondò in mare. Subito dopo dei boati scossero tutta la zattera: erano le caldaie che saltavano.
Il viaggio
Paesi di emigrazione
GreciaData di partenza
1941Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Giovanni Beleffi
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