Paesi di emigrazione
GreciaData di partenza
1941Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
guerraTemi
guerraLa lunga attesa dei naufraghi italiani, sconfitti dalla marina inglese nella battaglia di Capo Matapan, viene premiata: dopo una notte trascorsa sulle zattere in mare aperto arriva a soccorrerli un’imbarcazione greca.
Verso mezzanotte qualcuno ebbe l’impressione di avvistare ad una, certa distanza una piccola luce sul mare. Tutti guardavamo con ansia verso la direzione indicata e constatammo che la luce stava muovendosi: e non era un’illusione ma una cosa vera. Da tutte le zattere fu immediatamente cominciato a gridare e per aumentare il volume del richiamo ci accordammo di darci il tempo: uno, due, tre, e insieme cadenzato: “A IU TO”. Qualcuno in previsione che fossero inglesi, consigliò di gridare “HELP”. Il lume intanto si stava avvicinando, dirigendosi verso di noi, già udivamo il rumore dei motori di bordo. Dopo le delusioni del giorno trascorso mi stavo chiedendo se sarebbe stato quello il momento tanto atteso. Intravidi la sagoma della nave: una torpediniera e la mia zattera era quella che si trovava più vicina. Solo allora mi accorsi che venivamo trascinati da una forte corrente e stavamo scarrocciando verso poppa, col rischio di passare per pochi metri oltre questa e perdersi di nuovo nel buio. Distinguevamo le persone a bordo, cominciammo a urlare che ci lanciassero una cima. Non fu certamente per quell’appello, però dalla nave ci lanciarono la cima che mi colpì su una spalla. Mi ci avvinghiai con tutte e due le mani, quasi rappresentasse il seguito del corso della mia vita. Sentii aumentare i battiti del cuore mentre lacrime di gioia mi sgorgavano dagli occhi e colavano sulle guance. Tutti gesticolavano e volevano fare di più. Urtammo nel paraeliche, d’un balzo vi saltai sopra e da lì, aiutato da varie mani che si protendevano da bordo, fui tirato in coperta. la forza che mi aveva sorretto durante le ventisei ore in mare, permettendomi di resistere sempre al mio remo, appena mi trovai sulla nave, mi venne a mancare. Come avessi ricevuto un colpo alle gambe, mi si ripiegarono i ginocchi. Chiesi se fossero inglesi, ed essi risposero con una parola già udita “ellenicò” capii di trovarmi su una nave greca. Mi perquisirono, frugandomi nei pantaloni fradici che indossavo, come fecero a tutti via via che salivano, mi presero il portafoglio e un temperino: poi, sorretto da un marinaio greco, venni condotto nei locali sotto il castello di prora dove ci riunivano tutti. Quindi ci fecero spogliare, ci fornirono una coperta di lana per avvolgerci e ci portarono via gli indumenti bagnati per asciugarli in caldaia. Fatto questo venne distribuito formaggio, fichi secchi e acqua. Probabilmente erano gli unici viveri disponibili a bordo.
A questo punto il caccia greco rimise in moto le eliche e fece rotta per il Pireo dove ci attendeva la prigionia. Dopo circa due mesi i tedeschi invasero la Grecia e tornammo in Italia. Il caccia aveva tratto in salvo venticinque marinai dello Zara, di Firenze io e Pacconelli, una cinquantina circa del Fiume, altri dell’Alfieri, altri del Pola.
La nave Ammiraglia Inglese trasmise in chiaro al Ministero Marina Roma di avere affondato navi della flotta Italiana. Che provvedessero a inviare sul posto una nave ospedale per recuperare i naufraghi. Il Ministero Marina diede ordine alla nave ospedale Gradisca di partire in soccorso. Il Gradisca si trovava a Durazzo per imbarcare i feriti di Albania e trasportarli a Brindisi. In conclusione: il Gradisca carica i feriti e li porta a Brindisi, e dopo ben tre giorni arriva sul posto; e cosa trova? SoIo un mare di zattere vuote e tanti morti. Dello Zara recuperò solo otto superstiti. Di milleduecento marinai di equipaggio dello Zara, vivi furono i venticinque in Grecia, gli otto del Gradisca, e quelli recuperati dagli inglesi che a sentire Romagnoli, essendo pure lui fra quelli, erano un centinaio o poco più.
Il viaggio
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