Mestieri
ricercatriceLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1968Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)L’ennesimo ritorno di Paola Scoto a Parigi, o meglio in quello che per lei è “il” quartiere di Parigi, il quartiere latino, dove di volta in volta trova sistemazioni di fortuna ma non importa: quel che conta è abitare in quell’angolo di mondo.
Ogni volta, tornando a Parigi dopo periodi non lunghi – ma che a me sembravano interminabili – mi sentivo riaprire alla vita. Bastava che il taxi nel quale mi ero sistemata carica di bagagli, infilasse il boulevard che dalla Gare de Lyon porta al quartiere latino, passando per il lungo-Senna, perché subito mi si aprisse il cuore : il sangue scorreva veloce e gli slanci vitali che da tempo mi avevano abbandonato tornavano a me con subito e rinnovato vigore. Presto, intravvedendo le guglie di Notre Dame, ritrovavo il gusto della raffinatezza e dell’eleganza, accanto alle gioie più soffuse e miti emanate dalle acque che vi scorrevano sotto. Allora, per una specie di magia, la vita riprendeva le antiche dimensioni di spazi infiniti, di aperture illimitate, come onde che si allargassero senza fine e verso l’alto, e al tempo stesso, come se io mi aprissi ad accogliere il cielo – il cielo tutto – che stava lì, sopra di me. Così, non mi importava se si dovevano poi affrontare i disagi di una sistemazione provvisoria in uno dei tanti albergucci del quartiere, con le loro stanze dimesse – quando non erano sporche e sgangherate – e sempre perdute, comunque, in uno squallore anonimo e deprimente. Subito, si cercava di rendere queste stanzucce miserevoli un po’ più accoglienti con appositi accorgimenti: prima di tutto una pulizia radicale, accurata, quindi posters stampe disegni per ricoprire le pareti logore, qualche foulard o amuleto appeso al soffitto con lo scopo di ravvivare l’ambiente, libri riviste dischi sparsi un po’ ovunque in un piacevole disordine, e quel che più contava, luci smorzate da rivestimenti accuratamente studiati per creare un’atmosfera un po’ più calda e intima. Dopo questi ‘studi’, persino la stanza più misera poteva divenire accogliente, persino graziosa, tanto che gli amici, entrando, esclamavano con meraviglia: ‘Che carina ‘! Quando e se questi amici potevano salire, perché questo era un altro inconveniente della vita in albergo: le visite sempre permesse a fatica, se non addirittura negate, ma comunque sorvegliate, vigilate. C’erano dei giorni in cui nemmeno le ‘riparazioni’ servivano più, e ti riprendeva l’angoscia ‘della stanza’. Ma bastava allora uscire, in istrada, arrivare al vicino angolo, a me particolarmente caro, quello tra la Rue Buci e Ancienne Comedie, fermarsi davanti alle bancarelle del mercatino, con i fiori, la frutta, gli indumenti variopinti; bastava mescolarsi a tutta quella gente festosa e colorata: lo squallore che ti portavi addosso spariva di colpo, sostituito da una lietezza e una vivacità che prendevano ogni volta ogni giorno, con la stessa forza. Non avrei concepito di vivere a Parigi fuori del “Quartiere”: l’area possibilmente abitabile arrivava al massimo per me sino a Montparnasse, o alla Contrescarpe, o proprio come estremo limite al Marais.
Il viaggio
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