Mestieri
agronomo, fattore, allevatore, piccolo imprenditoreLivello di scolarizzazione
diplomaPaesi di emigrazione
BrasileData di partenza
1.1889Periodo storico
Periodo post-unitario (1876-1914)Una volta giunto alla fazenda presso cui lavorerà, Manzini scrive al suocero Celso, informandolo sulla situazione e raccomandandogli la figlia Urania.
Brasile lì 6 aprile 1889 Stazione Esteves
Carissimo signor Celso,
La prego tanto a scusarmi se prima d’oggi non le ho rivolto i miei caratteri, ma è stato causa che non ho avuto un poco di tempo appena arrivato alla mia destinazione che è nel Brasile.
[Siamo] in una bellissima tenuta che è proprietà di un gran signorone molto ricco: possiede 18 Fazende che, mi viene detto, tutte unite formerebbero l’estensione di una provincia italiana. Le dirò che coltivazioni non ce n’è punto come da noi; qui non si vede altro che montagne ricoperte per la maggior parte da piante di caffè, aranci, limoni, banani ed altra infinità di piante più o meno fruttifere. Ci sono bellissime qualità di uccelli che con facilità si ammazzano perché ci possiamo senza difficoltà avvicinare, ma solo oggi sono potuto andare a caccia perché fino a ora non mi è stato possibile.
Dal momento che siamo arrivati non ho mai potuto havere un momento di pace, causa che appena sbarcati ci condussero tutti ad un’isola vicino a Rio de Janeiro dove era un’infinità di persone arrivate con altri bastimenti. E per maggiore disgrazia erasi sviluppata la febbre gialla ed il vaiolo. Io e l’Albina, unitamente a diverse famiglie di coloni a cui potei fare intendere la ragione, ci condussero nel punto più alto dell’isola accompagnandoci come soldati, dormendo in terra ed al lume della luna, invece di stare nella gran locanda che ivi è fabbricata per ricoverarsi. Ma altre teste dure di contadini non volendomi dar retta vollero stare dentro e per tal causa, benché il nostro padrone (che se lei lo vedesse è un degnissimo signore) [abbia fatto] tanto per farci andare via di lì subito, [ma] non poté ottenere ciò che [voleva]; dopo tre giorni egli ci portava pane, dolci, latte, formaggio, zucchero, caffè, accioché non prendessimo niente del’aministrazione del’isola, ma i contadini, che come ancor Lei sa come sono ingordi e duri, mangiavano carne e tutto quello che le dava alle mani. Diversi di questi portarono seco il germe della febbre gialla, che, appena arrivati alla destinazione dove è una aria finissima (essendo 640 metri sopra al livello del mare), sviluppò il male: ne è morti sette perché dice che non ce pericolo di prendere la febbre, ma portando seco il germe è difficilissimo guarire mentre a Rio è una malattia come le altre. In questo caso a me mi è toccato molto ma molto d’affare ed addoprare moltissimo coraggio: ho dovuto fare da medico, da farmacista, insomma ho fatto di tutto fuori che da becchino, ho fatto tutto e per grazia di Dio sono e son sempre stato sanissimo.
Cosa Le posso dire, in questa occasione mi sono guadagnato moltissima stima del Padrone, e con mia grande soddisfazione posso dirle che mi vuole molto bene e mi ha regalato spesse volte. Dopo 3 giorni che eravamo qua mi chiamò domandandomi come stavano i malati; appena risposto alla sua domanda mi donò un foglio da 20 mila Reis che eguaglia a 500 lire italiane, dicendomi che me ne servissi per comprare il tabacco, perché stando vicino ai malati faceva bene fumare, poi altre cosette.
Il viaggio
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