Mestieri
dipendente pubblicoLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
UgandaData di partenza
2010Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Umberto Romano lascia l’Africa, e saluta la figlia Roberta che vi rimane per lavoro, con considerazioni amare, dettate dall’osservazione di ciò che gli si presenta davanti agli occhi attraversando il Paese africano.
Siamo invitati a cena a casa di Massimo. Un giovane trentenne Ugandese, vice Direttore dell’Associzione “Good-Samaritan”(,) che gestisce i progetti umanitari presso la missione dei comboniani di Gulu. Roberta ci conduce con il fuoristrada nella periferia della città; il cielo comincia a tingersi di nero.
“Dobbiamo arrivare presto, prima che faccia notte, per cena, non c’è luce elettrica e accendere le candele non è conveniente, altrimenti la luce attirerà centinaia di zanzare…”. Roberta esordisce così e poi continua, spiegandoci che qui’ la gente mangia prima che faccia notte, per questo motivo. Massimo è fiero della sua famiglia, due bambini ed una moglie incinta. Ci mostra con orgoglio la sua casa di mattoni, non ancora finita ma abitata lo stesso. Ha lasciato da poco tempo la sua precedente abitazione; una capanna nel villaggio vicino. L’uomo ci racconta del suo trascorso. Orfano di genitori, uccisi dalla guerra, è riuscito ad evitare, rifugiandosi presso la missione dei Comboniani di diventare insieme a sua sorella, un bambino-soldato, tragica fine della maggior parte dei ragazzi della sua età. Massimo è riuscito anche a laurearsi, sempre con l’aiuto dei Comboniani. Oggi è una risorsa per il suo paese e fa parte di quella maggioranza sana che vuole dimenticare in fretta una guerra inutile e ricostruire un futuro migliore di pace, per sé e per i propri figli. Il mattino dopo lasciamo Gulu, con la tristezza nel cuore di chi sa’ che forse non ritornerà più. Roberta viene con noi, fino a Kampala, dove ci accompagna l’autista, nonché amico, Robert.
Lungo la strada, ai margini, vi sono centinaia di operai che scavano a mano un solco. Il mio primo pensiero va’ a una condotta d’acqua. Sono subito smentito da Robert, il quale ci riferisce che si tratta dell’estensione della rete Internet. Resto sbalordito, mentre mi vengono in mente le parole di Suor Fernanda: “Questo paese è impazzito. Invece di portare la rete idrica ai villaggi, pensa alla telefonia, a internet!.. Mentre la gente continua a trasportare sulla testa l’acqua proveniente dai pochi pozzi, all’interno di sporchi ed ingialliti bidoni di plastica, per miglia e miglia sotto il sole. Quando poi non c’è la stagione delle piogge tutto si secca e la poca acqua che c’è basta a malapena per dissetarsi”.
Eppure in Uganda acqua c’è né tanta, grazie alla presenza del fiume Nilo e del lago Vittoria: basterebbe un modesto impianto di irrigazione e tutte le terre diventerebbero fiorenti giardini e rigogliosi orti, utili sfamare migliaia di africani che muoiono di fame.
Il viaggio
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