Mestieri
impiegataLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
BangladeshData di partenza
1993Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)L’arrivo a Dacca nel 1993, dove Marisa Trentini partecipa a una missione umanitaria di un mese.
10-11-12 febbraio 1993
Conoscere gente nuova e’ sempre un’esperienza esaltante. Con Claudio e Mario partiamo dalla stazione centrale di Milano alle 22,55. Sistemati i nostri dodici bagagli che successivamente, ad ogni tappa, verranno scrupolosamente inventariati, ci aggiustiamo dentro il vagone a cuccette ove trascorreremo il viaggio sino a Roma. Nello scompartimento a sei posti, oltre ad una branda interamente occupata dalle nostre valigie, prendono posto due anonimi viaggiatori, uno dei quali russerà’ indisturbato fino a destinazione. Nessuno di noi invece riesce a dormire e ci agitiamo nella parure invernale delle coperte sintetiche a marchio FS fino alla stazione di Firenze. Qui, come da accordi, preleviamo dalle mani di un eminente prelato un prezioso medicinale in fiale custodito in apposita borsa termica destinato ad un bimbo nano di Jessore. Giungiamo a destinazione e ci tuffiamo nell’alba romana già’ frenetica a bordo di un taxi con il quale Mario, da perfetto commerciante, contratta una tariffa stracciata per il tragitto a Fiumicino. Convocata da Mario su precisi accordi preliminari, ci viene incontro Marianela, studentessa di teologia a Roma e aspirante missionaria. Dentro la cappella silenziosa dell’aeroporto, rimembrando la sua Terra, ella intona soavi canti peruviani. Assieme rivolgiamo poi le nostre intenzioni personali alla Madonna nella precisa ricorrenza della sua apparizione a Lourdes. Accodati a Mario eseguiamo il check-in con ben sette borse qualificate bagaglio a mano e sempre da lui guidati accediamo – pur senza titolo – alle confortevoli sale dell’ “Easy Roma”.
Decolliamo con un’ora esatta di ritardo rispetto ai dati del tabellone su un capientissimo DC10. Lo spettacolo dall’oblo’, seppur confuso dalla nebbia, e’ esaltante. Alpi ed Appennini innevati, distese d’acqua tra le nubi, strade filiformi e paesi che paiono di cartapesta. All’imbrunire, dopo la recitazione delle “Ore” e di un suggestivo Padre nostro sospeso nel cielo, si scioglie la reticenza e ci troviamo a parlare con la spontaneità’ di chi si conosce da sempre. Ad ogni spuntino distribuito dalla compagnia aerea assaggiamo porzioni di un riso dolce-piccante che ci anticipa quel che sara’ l’odore di questo Paese e della sua gente. Sebbene coadiuvati dalla musica in cuffia e dalla penombra dell’abitacolo non riusciamo a riposare. Soltanto Mario, con gli occhi protetti da una mascherina nera modello Diabolik, schiaccia qualche pisolo disteso su due sedili. A Dubai, dopo lungaggini e risse verbali determinatesi dall’assenza della scaletta, scendiamo a visitare il Duty Free Shop. Un’ora più’ tardi lasciamo a malincuore la tiepida serata araba e riprendiamo il volo accorciando le distanze dalla nostra meta. Dalla nebbia si dipana lentamente una mattinata grigia e questa Terra giallastra appare tutt’altro che accogliente. A Dhaka attendiamo pazientemente per quasi due ore che i nostri bagagli compaiano sul tappeto rotante dell’aeroporto. Attorno a noi visi scuri e baffuti e pochissime donne velate da capo a piedi. Rinvenuti i fagotti presso un’uscita diversa da quella prevista dal volo, lasciamo scivolare nella tasca del doganiere un balzello di cinquanta dollari che ci evita l’ispezione all’interno delle valigie. Il primo impatto con la vera povertà’ lo viviamo comodamente seduti nell’automobile diplomatica dell’ambasciata italiana a disposizione dell’equipe medica proveniente da Parma per eseguire interventi chirurgici di ortopedia nell’ospedale di Kuhlna, a sud del Paese. Per le strade frastuono assordante e continuo di clacson, trombe e campanelli degli incredibili mezzi di locomozione di ogni foggia e colore che sfrecciano in tutte le direzioni. Ai crocevia e dentro il traffico stuoli di bambini tendono la mano; taluni vendono fogli di giornale in lingua bengalese. Oggi, venerdì’, e’ giorno festivo per i musulmani. Numerose persone abbigliate sontuosamente passeggiano sui marciapiedi ma in lontananza si intravedono rapide figure che frugano lungo i binari della ferrovia.
Dopo l’incontro con i padri saveriani e quelli del PIME realizziamo con sgomento che manca all’appello una delle valigie destinata proprio a questi ultimi. Claudio supera brillantemente il confronto con le “incorruttibili” autorità’ aeroportuali e, assumendo disinvoltamente l’irruenza comportamentale del bengalese, ritorna vittorioso con il legittimo bottino. A bordo di un moderno furgone nel pomeriggio padre Gino ci offre una panoramica della città’. La gente ci osserva curiosa, qualcuno sorride, altri si dimostrano sospettosi. Alle donne non e’ permesso avvicinarsi alla moschea da cui si propaga suggestiva la voce modulata del sacerdote che richiama i fedeli alla preghiera. Nell’aria riscontriamo quell’odore cosi’ particolare che ristagna ovunque: dalle strade alle banconote, dalle persone alla biancheria. Dopo la cena consumata alla mensa dei padri saveriani Claudio ed io improvvisiamo una buffa uscita per i negozi del quartiere di Mohammadpur dove trattiamo l’acquisto di un sari, senza peraltro concludere l’affare. Ci auguriamo una buona notte che sa di addio. Domani ci separeremo ma soltanto in attesa di intraprendere assieme il viaggio a Calcutta in programma tra una settimana.
Il viaggio
Mestieri
impiegataLivello di scolarizzazione
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