Mestieri
impiegataLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
BangladeshData di partenza
1993Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)La visita alla scuola cristiana, frequentata da centinaia di bambini poveri, e ancor di più all’attiguo dispensario impattano sulla sensibilità di Marisa. Le condizioni igieniche e i livelli di istruzione in Bangladesh sono molto bassi e l’opera dei missionari ottiene risultati straordinari per il contesto in cui si trova a operare.
16 febbraio 1993
Ancora, di notte, oltre tre ore non riesco a dormire ma stamani mi sento ugualmente in forma. La campanella delle cinque mi mette in allarme. Mi preparo con calma ma e’ decisamente troppo presto per la messa delle 6,30. Nella chiesa della missione dedicata alla Madonna di Lourdes confluisce praticamente l’intero villaggio. All’ingresso mi si presenta una rigorosa suddivisione per sesso lungo la navata centrale: sul lato sinistro le teste delle donne avvolte in sani creano una festa gioiosa di colori. Non esistono sedie o panche ad eccezione di qualche sgabello per le suore anziane. Tutti seguono devotamente la funzione restando seduti a gambe incrociate o pregando in ginocchio. Dentro il coro si distinguono le voci femminili che guidano i canti. Ciascuno, prima di accedere alla casa del Signore, leva i calzari (le ciabatte infradito in gomma vanno per la maggiore) e a piedi nudi partecipa alla messa e si accosta all’Eucarestia. Sopra l’altare il crocefisso, da un lato la statua della Vergine e dall’altro quella di S. Giuseppe. Lungo le pareti pochi quadretti e strette finestre dai vetri colorati. Anche in questo luogo sacro le immancabili pale anti-afa scendono dal soffitto grigio in lamiera ondulata dai robusti sostegni che rammentano il Palatrussardi di Milano. Dopo una colazione all’italiana incontro finalmente padre Canton il quale, tra i campi, attraverso un sentierino accidentato mi conduce alla scuola cristiana. Gli alunni, circa trecento, si trovano tutti nell’ampio cortile (che e’ in realtà’ uno spazio erboso) e attendono di entrare in fila indiana nelle rispettive aule. Studenti ed insegnanti sono indifferentemente cristiani, musulmani ed indù’ ma tutti all’inizio delle lezioni cantano l’inno nazionale e porgono il saluto alla bandiera. Le aule sono fredde, buie e disadorne. Sulle panche scrostate siedono tre-quattro bambini che guardano curiosi oltre le grate senza vetri. Mi racconta il padre che la scuola cristiana, dalla prima alla decima classe, essendo l’unica legalmente riconosciuta e’ molto ambita tanto che annualmente non si riesce ad esaudire tutte le centinaia di richieste di ammissione. Vengo a conoscenza del malgoverno di questo Paese sia per quanto attiene l’istruzione, sia nei riguardi dell’ordine pubblico e dell’assistenza sanitaria. A questo proposito suor Eleonora mi narra qualche sua personale vicissitudine mentre mi mostra il dispensario che gestisce assieme a suor Lidia e ad una giovane infermiera bengalese neo-diplomata. In tre locali, oltre ad una veranda all’aperto che funge da sala d’attesa, si svolge una capillare attività’ ospedaliera e, ad ogni primo venerdì’ di ciascun mese, si visitano i lebbrosi. Al dispensario, unico centro di prima assistenza ed erogazione gratuita di medicinali, giungono anche donne gravide per partorire. Prive di qualsiasi capo di biancheria e corredo per se’ e per il nascituro esse raramente vengono accompagnate e allo stesso modo – salvo complicazioni – dopo qualche ora ritornano al villaggio con il loro neonato in un fagotto. Nella sala parto, poco più’ spaziosa di un nostro vano cucina, le attrezzature scientifiche si riducono ad un lettino ginecologico e ad una culla in legno di vecchia foggia contenente una bambola di plastica rigida. Al pensiero di modernità’ occidentali quali training autogeno, autoipnosi, parto nell’acqua sorrido tra me. Conosciamo la gente del villaggio tra cui Maria che conosce Parma e parla un poco l’italiano. Tra la quasi totalità’ delle famiglie circolano nei cortili capre, mucche e, spesso pure dentro le capanne, polli, cani e qualche gatto sgraziato. Al nostro passaggio ci salutano anche musulmani ed indù’ gesticolando curiosamente. Qualche donna si fa’ avanti porgendoci la prole onde ottenere, tramite un segno della croce, una sorta di benedizione propiziatoria.
Le famiglie cristiane fanno a gara per tenderci i bassi sgabelli o le rare sedie, proprie o prestate dai vicini. Ci viene offerto the dolcissimo e riso soffiato condito con lo zucchero bruno raccolto nottetempo dalle relative piante dentro contenitori in coccio sistemati sui tronchi. Davanti alle case e’ disteso ad asciugare del riso scuro e qualcuno dispone persino di una specie di pressa in pietra con cui le donne lo macinano. Gli uomini sono impegnati soprattutto nei mercati lungo le strade o nei lavori agricoli. Coltivano riso, venduto a circa dieci takas il pacchetto, ed arano la terra utilizzando aratri in legno trainati da buoi. Suor Sabina, Monica, Maria Goretti ed io anticipiamo l’ora del pranzo e partiamo sotto il solleone alla volta di Mulladuly. Le tre ragazze mi circondano di attenzioni creando una barriera umana tra me e la massa di persone pigiate dentro l’autobus. Nel Bangladesh sui mezzi pubblici le donne hanno posti riservati, generalmente i sedili anteriori proprio a ridosso del motore dove il caldo e’ insopportabile. Accanto ad una donna accomodata capita dunque di trovare spazio libero ma, nonostante l’affollamento del mezzo, nessun passeggero di sesso maschile – compreso lo stretto parentado – andrà’ ad occuparlo. La donna infatti, per arcane tradizioni, e’ rigorosamente inavvicinabile. Viaggiando accade di conseguenza che il controllore – al fine di riscuotere il dovuto – domandi urlando “Di chi e’ questa donna?” attendendo la voce maschile che la rivendichi. La quasi totalità’ dei passeggeri viaggia senza biglietto ma e’ incredibile l’abilita’ del controllore nel riuscire ad incassare le takas previste persino da coloro sistemati sopra il tetto dell’autobus. Il panorama fluisce regolare tra campi di riso, villaggi inseriti nella giungla e, ad ogni fermata, mercatini variabilmente brulicanti di uomini e ragazzi. La missione di Mulladuly eretta anni fa da padre Canton risalta nella campagna. Pur non apparendo troppo estesa comprende oltre ottocento famiglie, alcune di esse decentrate in villaggi assai distanti. Nella veranda una decina di donne ricamano pazientemente candide stoffe. Con il valido ausilio di suor Mercedes anche qui si sta avviando un laboratorio artigianale dove le indigene, per lo piu’ donne sposate con figli, vedove e ragazze madri, imparano un mestiere la cui remunerazione contribuirà’ al mantenimento della famiglia. Le abili mani si fermano soltanto un istante ma riprendono subito dopo il loro ritmo efficiente. Suor Mercedes ci fa’ accomodare nel piccolo refettorio dove più’ tardi ci raggiunge Gulapy, l’anziana suora bengalese. Sorseggiando una bibita che rassomiglia ad acqua e tamarindo instauro una sana chiacchierata italiana con Mercedes la quale mi confida la necessita’ della presenza di una terza suora che si occupi dell’istruzione scolastica. Visitiamo il villaggio accompagnate da suor Gulapy. Nella calda ospitalità’ riservataci sono compresi the macchiato e abbondanti razioni di muesli. Il tenore di vita qui appare decisamente più’ modesto rispetto a quello di Bonpara. Nelle campagne al posto delle rumorose ed ingombranti turbine si utilizzano gigantesche pompe di legno le quali, a forza di braccia e gambe, attivano il comune sistema di irrigazione. Per la prima volta vedo i campi di cotone animati in questi giorni dalle donne le quali adagiano in grosse ceste i boccioli bianchi e morbidi. Questa coltura e’ estremamente delicata e rischiosa in quanto una stagione mediocre può’ compromettere l’intero raccolto. Ritorniamo verso la stazione degli autobus dove accertiamo che, stante il misterioso sciopero, i trasporti risultano tutt’altro che puntuali. Dopo contrattazioni infruttuose di suor Sabina con vari rikscio’ prendiamo posto sopra un carretto agganciato ad una bicicletta. Tale mezzo di locomozione chiamato “ven” viene indifferentemente utilizzato per il trasporto sia di merci che di persone. Il percorso e’ lungo e prevede lievi discese e salite. In varie occasioni dunque suor Sabina ed io lasciamo il biroccio facilitando il giovane guidatore il quale, malgrado l’aria fresca del crepuscolo, ha la camicia impregnata di sudore.
Rincasiamo all’ora della preghiera. Prima di cenare mi lavo dalla testa ai piedi constatando che questa polvere sottilissima penetra ovunque. Dopo mangiato le suore giovani complottano di abbigliarmi come una perfetta signora bangladeshi. Un sari rosso fuoco spunta da chissà’ dove e in un batter d’occhio mi ritrovo con vistosi orecchini ed analoghi bracciali e cavigliere. Delicatamente suor Gertrude mi accomoda ad arte il costume e tenta di riprodurre con i miei corti capelli un’acconciatura meno maschile. Cosi’ trasformata ritorno al refettorio dove, tra l’ammirazione e gli applausi generali, improvviso una breve passerella ora sollevando ora abbassando il velo dal capo. Persino a suor Lidia sfugge un paio di complimenti e proprio lei mi assicura che con tale travestimento potrei persino conquistare un ricco bengalese. Sono quasi le 22 quando spengo la luce e mi addormento nella tranquilla nottata gremita di stelle.
Il viaggio
Mestieri
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BangladeshData di partenza
1993Periodo storico
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