Mestieri
cooperanteLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
Repubblica democratica del CongoData di partenza
1990Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)La penna passa a uno dei figli della famiglia Venturin, che racconta l’arrivo a destinazione in Congo, dove trascorreranno alcuni mesi presso la missione di Walungu, un piccolo villaggio non distante dalle sponde del lago Kivu.
Oggi riprendiamo il viaggio ma questa volta però in Land-Rover . Dopo aver salutato gli amici che sarebbero restati lì o andati da altre parti, saliamo in macchina e partiamo. Passiamo attraverso la cittadina di Bukavu dove le strade sono asfaltate abbastanza bene e dove c’è molta gente. Ad un certo punto la strada asfaltata non c’è più e, mentre costeggiamo il lago Kivu possiamo vedere le piroghe con gli uomini che ci remano dentro. La macchina è piena di bagagli e fa difficoltà a salire sulla strada sterrata che ci conduce alla Missione di padri italiani di Walungu. Io questi nomi non riesco ancora bene a fissarli nella testa e ad ogni attimo devo chiederli al padre che ci accompagna. Con noi ci sono Padre G. , Don C. e Don L. un prete settantenne con tanti capelli color neve e la pelle rugosa. Don C. rallegra un po’ il viaggio con le sue barzellette e poi però sfortunatamente si addormenta con il libro delle preghiere appoggiato alle ginocchia. La strada è tutta buchi e non c’è affatto fango. Passiamo accanto ai villaggi con le capanne di paglia, con alcune case in legno e il recinto per dividerle dalle altre. Il sole non è più molto caldo perché è già sera e si sentono già gli uccelli cantare e il rumore della macchina che si trascina sulla strada. Il sonno mi è passato. Adesso però ho un terribile mal di zucca! Fuori dal finestrino vedo le colline verdissime di vegetazione, con grandi eucalipti e erbe altissime che spuntano come funghi ai bordi della strada. In questo tratto si aprono a destra e a sinistra immense piantagioni di tè che coprono intere colline che scendono dolcemente verso grandi piane coltivate a chinchina, manioca, patate dolci e altri cereali. In fondo alla vallata, là dove ricominciano le colline ci sono tanti villaggi seminati come chicchi di grano uno qui, l’altro là sulla terra africana. Sullo sfondo si stagliano alte montagne scure e prive di vegetazione alta. Dov’è finita l’Africa dei giornali e della televisione? Il Kenya non era così, lo posso immaginare. Anche papà sembra stupito. Dove sono i leoni, le tigri, le gazzelle? Dov’è il sole caldo da deserto e le stellate notturne delle fotografie? Dove si è cacciata la sabbia dei terreni aridi? Dove si nascondono tutte queste cose? Qui non c’è nulla di quello che mi aspettavo, solo bananeti, capanne, tantissimi bambini che rincorrono la macchina con le loro grida e poi, tante colline: quasi un mare. Vedo le donne che passano con i loro carichi pesanti sulla schiena, con quei bambini poggiati sul dorso come se fossero bagagli… E’ difficile però credere che questa gente non sappia neppure utilizzare il carretto per trasportare le cose… Ora dovremmo essere vicini alla Missione di Cavolo, non mi viene il nome … Di, di Walungu, ecco! Lo si capisce perché ci sono tante persone che passano, che parlano che ci guardano. La prima cosa che vediamo arrivando dalla strada è la statua bianca di una Madonna messa lì forse come protettrice della Parrocchia o cose del genere. Mi fa impressione vedere che non si sono neppure degnati di dipingerla di marrone… “E’ proprio vero che hai ancora tante cose da imparare , Rachele!”. Voltata la curva sempre tante persone, tanti bambini che corrono, poi infine la Parrocchia, chiusa da un recinto di ferro per non far entrare nessuno. Il primo impatto con la parrocchia è una cosa oscena: è un luogo squallido, molto sporco, ma mi consolo all’idea che tutto questo è dovuto al fatto che ci vivono solo uomini. Ci consegnano le chiavi dell’unica stanza che dividiamo in sei persone con un letto da una piazza e mezza, tre letti da una piazza e une brandina vecchissima. Ormai è già sera e tanto varrebbe andare a salutare il Signor U., volontario costruttore che si occupa della costruzione della nostra casa. Questa volta da mangiare non c’è tutta la trafila di riatti di ieri; nonostante tutto pere Adela (la cuoca della Parrocchia) cucina bene e dopo la cena ce ne andiamo a dormire nella squallida cameretta di una tanto squallida missione africana.
Questa notte ho dormito veramente male. Qui ci sono troppe pulci e sono tutta morsicata nonostante l’insetticida che avevamo spruzzato ieri e l’AUTAN che ci eravamo messi addosso contro le zanzare. A quanto pare di zanzare non ne abbiamo sentite, ma le pulci ci hanno veramente divorati. Questa mattina ci ha svegliati il piccolo giardiniere che, con il suo secchio veniva ad attingere nel tane che si trova fuori dalla nostra porta. Samy si stupisce che un bambino così piccolo lavori già, ed infatti il piccolo bambinello magro e denutrito lavora per dare un aiuto alla sua famiglia con quei 300 zaires al mese che gli dà la Parrocchia. Io non capisce ancora quale sia il valore dei soldi che ci sono qui, ma mi sembra comunque che sia molto poco per questo lavoro. Dopo aver fatto colazione con quell’odioso latte in polvere e lo zucchero di canna locale andiamo a vedere la nostra futura casa. Subito è difficile orientarsi, ma poi il padre ce la indica. È una casa grossa, molto grossa, che comprende due appartamenti di sei stanze ciascuno, la cucina esterna, il garage e due magazzini per sistemare gli attrezzi o il materiale di costruzione. L’altro magazzino si pensa dovrà servire come atélier di falegnameria. La casa è solo all’inizio. Papà ha già i nervi a fior di pelle perché in Italia ci avevano detto che mancava più solo il tetto. Manca il tetto, i muri non sono ancora lisciati, i pavimenti non ci sono, la veranda non esiste, la cucina esterna con la lavanderia neanche, mancano le fosse settiche, le scanalature per i fili della luce, mancano i caminetti nei saloni e il forno fuori… Insomma, è proprio un disastro! Conosciamo il volontario addetto a questo lavoro che in un anno non è riuscito a fare nient’altro che è scritto sopra. Il signor U. un uomo molto grasso, pieno di ferite che derivano dalle punture delle pulci e delle zanzare che lui ha troppo grattato. Non ha molta barba, ma le basette molto lunghe e mal tagliate. Ci offre un bicchiere di acqua e succo di marakuja e poi inizia a parlare. Non sembra male come tipo, ma in fondo ci fa il doppio gioco visto che ci offre da bere e non si vergogna neppure di non essere riuscito in un anno a portare a termine una casa.
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