Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
LibiaData di partenza
1939Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Lo straziante racconto di quando Pietro Renzo, insieme alla sorella Lina e al fratello Bruno, sono costretti dal regime a rimpatriare in Italia dalla Libia, senza i genitori, per il tragico incombere della guerra sulla colonia.
Nella primavera del 1940 il Duce, sapendo che sarebbe scoppiata la guerra sul territorio libico, decise di far rimpatriare tutti i bambini. Io sono partito nel 1940 e quando ho rivisto mia madre nel 1946 non l’ho riconosciuta, né lei ha riconosciuto me! L’ordine perentorio del Duce disponeva che ogni bimbo, dai 4 ai 14 anni, residente nella Quarta Sponda doveva essere mandato in Italia per una “vacanza”, per poter rinfrancarsi al sole e all’aria della Madre Patria. Nell’elenco rientravamo per età Bruno, Lina ed io. A nulla erano valse le proteste dei miei genitori alla Casa del Fascio. E così il 1^ giugno 1940 noi tre bambini ci imbarcammo su una di quelle navi che avevano portato in Libia i soldati italiani, pronti per il fronte. La propaganda parlava di una vacanza di tre mesi, invece è stata una prigionia. Ma quando siamo partiti eravamo anche un po’ contenti di andare al mare. Io ero insieme a Lina e Bruno e mai più immaginavamo che ci avrebbero divisi. Ci sono venuti a prendere nel villaggio. Siamo saliti sui camion con i nostri genitori e ci hanno portati a Derna. Lì hanno fatto scendere i genitori e abbiamo proseguito fino a Bengasi. Ricordo che mia madre affidò me e Lina a Bruno, che era il più grande. È stato il mio angelo custode per tutto il tempo trascorso in colonia. Nei pressi del porto, a Bengasi, c’era una confusione enorme, i bambini piangevano e gridavano. C’erano bambini più piccoli di me, completamente soli ……almeno io avevo i miei fratelli! Ci radunarono nella stiva, maleodorante e poco illuminata. Divisero i maschietti dalle femminucce e ci assegnarono una specie di caposquadra a cui far riferimento per qualsiasi necessità. Un grosso bidone con due tavole fungeva da gabinetto. Il puzzo era orribile, tanto più che molti durante la traversata patirono il mal di mare. Eravamo partiti con abbigliamento estivo e il freddo della notte provocò un sacco di febbri, che vennero curate con una cucchiaiata di olio di ricino e uno scappellotto. Se qualcuno si lamentava o se gli istruttori lo vedevano piangere veniva schernito dandogli del “viziato”. Il viaggio fu lungo. Ogni mattina veniva distribuita una scodella di latte. A pranzo e cena veniva servita una brodaglia e una fetta di pane. Nessuno dei bambini nelle cuccette aveva voglia di ridere o scherzare, eravamo impauriti, ma eravamo convinti di andare in vacanza e un’aria di aspettativa aleggiava su di noi. Per fortuna io e Bruno siamo sempre stati insieme durante il viaggio. Mi raggomitolavo nella cuccetta e poi lui mi raggiungeva e mi abbracciava. La notte piangevamo insieme ma al mattino non dicevamo niente all’altro. Ci avevano insegnato che il pianto è segno di debolezza e gli uomini non potevano mostrare le lacrime. Lina invece viaggiava da sola, chissà che angoscia, poveretta! Bruno riuscì a intravederla solo quando sbarcammo a Bari. C’era molta agitazione, la vigilatrice consegnò a tutti un salvagente e disse di non toglierselo per nessun motivo; dovevamo essere pronti perché il porto era stato minato e la nave poteva saltare in aria. Ma non successe nulla. Sbarcammo e proseguimmo in treno fino alla destinazione, la GiL Miramare Rimini, che ospitava quasi mille bambini provenienti dalla provincia di Derna.
Il viaggio
Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
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