Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
licenza elementarePeriodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)L’arrivo delle lettere dall’Italia rappresenta un momento di svolta per Stefano e per gli altri soldati italiani prigionieri degli inglesi in India, nel 1941. Ricevere notizie dai propri cari è la molla che tiene attaccati alla vita, nonostante le molte sofferenze, e spinge a intraprendere altre attività, a partire da quelle lavorative che vengono concesse ai detenuti.
Da quando cominciammo a ricevere le prime lettere dalle nostre famiglie qualcosa iniziò a cambiare in noi, anche se relativamente. Certamente ad ognuno di noi arrivavano parole di conforto, che servivano a darci la forza per poter superare la nostra brutta sorte di esse-re presi prigionieri e portati cosi lontano. Quelle poche parole per noi furono di sollievo, ci aiutarono a sopravvivere e sopportare le numerose difficoltà. Ci sentivamo più calmi, più sereni, più rassegnati, disposti a dialogare tra di noi, per potere trovare qualche soluzione che alleviasse le sofferenze e le difficoltà della vita in quei campi deserti. Ci sentivamo meno depressi e un pò più su di morale, poiché speravamo di ritornare presto in Italia dalle nostre famiglie. Era indispensabile trovare comunque un sistema per distrarsi e allontanare dalla mente l’attenzione dall’ essere dentro quei campi di con-centramento. Bisognava avere cura della nostra salute, quasi tutti eravamo d’accordo nel trovare un modo di vivere più rilassante possibile. La prima cosa era quella di accettare la nostra brutta sorte, perché era una realtà purtroppo evidente, bisognava reagire e difendersi da tutte le difficoltà che ci opprimevano ogni giorno. Questi discorsi si facevano frequentemente ma non si riusciva a trovare la forza di iniziare a fare qualcosa. Fino a quando con l’aiuto del nostro comandante di campo, Maresciallo della marina, preso prigioniero prima di noi, e con l’autorizzazione degli inglesi, si cominciò a fare un piccolo campo sportivo per giocare a pallone e fare ginnastica. In quei campi spogli e deserti non c’era niente di niente, ma poiché avremmo dovuto viverci “chissà per quanto tempo”, bisognava allestire degli ambienti dove passare del tempo. Gli inglesi proposero due cose: la prima fu quella di aprire un piccolo spaccio nel campo in modo che potevamo comprare qualcosa, ma, poiché non avevamo soldi, venne loro in mente di darci la possibilità di lavorare, (lavoro di manovalanza si intende). Dissero che ci avrebbero pagato, così aderimmo in molti per potere avere qualche soldo e per quanto era poca cosa potevamo sempre comprarci qualcosa. Per un pò di tempo siamo andati a lavorare, poi abbiamo dovuto smettere perché faceva troppo caldo e non si poteva lavorare a 50° all’ombra. Dopo un pò di tempo cominciarono ad arrivare i soldi dal Governo Italiano: una lira e cinque sigarette al giorno. Con una lira ci si poteva comprare per esempio sedici banane, e potemmo comprare così anche il sapone, il dentifricio e altre cose. La domenica mattina veniva un sacerdote a dire la Santa Messa, si svolgeva nel piazzale ma a volte pioveva e ci bagnavamo. Tra circa duemila prigionieri che eravamo in quel campo, c’erano una buona quantità di specialisti di ogni genere di lavoro, dai muratori ai pittori, scultori ecc., così alcuni muratori si misero a costruire una cappella in muratura con un altare, altri fecero statue in terracotta verniciate in vari colori da sembrare fatte di marmo. Sul davanti costruirono una struttura leggera coperta in tela che serviva per quando pioveva o per ripararsi dal sole, riuscì un lavoro meraviglioso, malgrado gli inglesi davano poche materie prime. Gli inglesi stessi si meravigliarono nel vedere tale lavoro. Questo per noi fu un forte stimolo per passare il tempo, si cominciarono a fare altri lavoretti, ricordo che un ragazzo costruì un piccolo carro armato in alluminio, che funzionava come uno vero, oltre a camminare, il cannone girava a destra a sinistra e sparava anche. In seguito si costruirono varie cose incredibili, bastava dare qualche sigaretta agli indiani, quelli che venivano a fare le pulizie nel campo, per farci portare alcuni attrezzi, questo serviva soprattutto a distrarci e farci passare il tempo, parecchi oggettini si vendevano anche agli inglesi. Io personalmente per quanto iniziai a fare qualcosa non riuscii a completare niente, forse non era ancora il mio momento. Di tanti che eravamo certamente non potevano manca-re i cantanti e musicisti e anche se non erano professionisti riusciva-no ad organizzare bei spettacoli. Alcuni strumenti si costruivano direttamente nel campo, altri si potevano comprare e con la collaborazione di noi tutti, si riuscì a costruire anche un palcoscenico sul quale, due volte alla settimana, si faceva della buona musica, dopo un pò di tempo si faceva anche del varietà. A questi spettacoli assistevano anche gli ufficiali e soldati inglesi rimanendo molto meravigliati dall’abilità di certi ragazzi nel recitare la loro parte.
C’era un ragazzo tra questi che recitava ed imitava cosi bene “il giornalista” che sembrava vero, si presentava sul palcoscenico con un microfono, naturalmente finto, e incominciava a trasmettere per prima cosa il segnale orario, poi dava le notizie del giorno, avendole prese da “radio fante”, (significava prendere alcune notizie da altri prigionieri in altri campi) si esprimeva talmente bene che sembrava vera-mente un giornalista della Rai. A queste notizie la reazione degli inglesi era indescrivibile, pensavano veramente che avevamo una radio vera, a quel punto oltre a sospendere lo spettacolo arrivava un plotone di soldati a fare l’ispezione per trovare la radio. Non riuscivano a capire che era soltanto una imitazione, ma a volte erano anche vere, a volte chiedevano ad alcuni di noi come facevamo a sapere delle notizie così precise, rispondevamo che lo sapevamo grazie alla “radio fante” o dalla “radio reticolati”, a quel punto non capivano più niente. Di questi episodi ce ne sono stati parecchi, con noi gli inglesi diventavano pazzi. In questo primo campo ci siamo stati per: circa due anni, alla fine divenne abbastanza accogliente e meno triste grazie ai nostri lavori, alla fine sembrava quasi un campeggio, avevamo familiarizzato tutti e quindi riuscivamo a vivere in armonia e più sereni. Ma un bel giorno arrivò l’ordine che presto saremmo stati trasferiti in un altro campo e in un’altra regione, difatti cosi fu. Dopo pochi giorni ci fecero ristringere quel poco che avevamo e ci portarono con i camion alla stazione. Con molta tristezza dovemmo lasciare tutti i nostri lavori e occupazioni che servivano a rendere il campo più vivibile. Salimmo sul treno e viaggiammo per alcuni giorni, per arrivare a Bangalore, nello stato del Karnataka, in un campo che si presentava spoglio, e deserto, bisognava rifare tutto di nuovo per poterci vivere, era un campo di concentramento ancora più deprimente di quello che trovammo all’inizio. Dopo circa due anni ritrovarsi in un campo privo di ogni cosa, dopo aver lavorato tanto nell’altro che avevamo lasciato. Sarebbe stato molto difficile ricominciare ancora. C’erano soltanto le solite sentinelle, fili spinati e delle tende montate sulla terra bruciata dal sole. Ogni giorno arrivavano altri prigionieri, tra questi che arrivarono c’era un ragazzo di circa trenta anni che conosceva bene la lingua inglese, ci dava anche delle notizie del giorno, quando i si poteva avere il giornale. Dopo qualche giorno propose di istituire un corso di lingua inglese, chi voleva poteva partecipare. Io, malgrado non avessi molta simpatia per gli inglesi, mi iscrissi subito partecipando fin dal primo giorno, mi interessava imparare la lingua per comprendere e potermi anche difendere. Ma dopo circa quaranta giorni dall’inizio del corso, arrivò una comunicazione che diceva che tutti coloro il cui cognome iniziava con la lettera A fino alla C venivano trasferiti in un altro campo. Il mio cognome iniziava con la lettera C, così dovetti lasciare ancora quel campo, mi dispiacque molto per il corso di inglese che avevo iniziato poiché stavo già prendendo confidenza con la lingua inglese. Arrivati nel nuovo campo ci rendemmo subito conto che, tutto sembrava meno che un campo di permanenza, bensì di smistamento. Difatti dopo qualche settimana ci portarono nei campi di lavoro. Questa brillante iniziativa di portarci a lavorare fu un grande abuso verso di noi, reclamammo subito, ci risposero che lavorare faceva bene e che ci avrebbero anche pagato. Noi lo consideravamo un vero abuso nei nostri riguardi anche se ci pagavano, non avevano nessun diritto di obbligarci a lavorare, ci dissero che lavorando avremmo trovato vantaggio nel fare un pò di movimento. Appena arrivati in quel campo vedemmo una serie di tende messe in fila, in ogni tenda ci dovevamo vivere in quattro persone, erano due campi, uno vicino all’altro, chiamati campo n° 4 e n° 5, con circa cinquecento persone per ogni campo. Era un ambiente deprimente, privo di ogni servizio, c’era una cucina da campo mobile, senza l’acqua potabile per bere, non c’erano neanche i servizi igienici, avevano fatto fare delle fosse a terra dentro ad alcune tende da campo con delle tavole messe un po’ larghe per andare al bagno, bisognava stare molto attenti poiché si correva il rischio di scivolare. Non era un campo di lavoro ma un campo di punizione secondo noi, inoltre non c’era neanche un albero per mettersi all’ombra.
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