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Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
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guerraDopo l’8 settembre gli inglesi spingono i prigionieri italiani a rendersi collaborativi. Per chi si rifiuta, e Stefano Carocci è tra questi, la vita quotidiana diventa un inferno. Fino al giorno in cui arriva una notizia che getta Stefano e i suoi commilitoni nello sconforto.
Dopo l’8 settembre 1943, quando il Re dimise Mussolini da primo ministro e diede l’incarico del comando al generale Badoglio, gli inglesi stabilirono una specie di plebiscito per chi voleva collaborare con loro, alcuni aderirono e alcuni no, io ero tra quelli che non aderirono. Comunque dopo poco tempo cessarono i lavori e ci trasferirono in un altro campo molto grande, eravamo parecchie migliaia, c’era un grande movimento, chi andava chi veniva, non si capiva più niente, comunque gli inglesi continuavano a chiederci chi voleva collaborare e fecero una specie di sondaggio. Dopo pochi giorni ci fu un’adunata straordinaria alle sei di mattina, fecero prima la solita conta di tutti poi ci dissero che chi avesse voluto collaborare doveva andare a destra, chi invece no a sinistra, quindi ci fu una vera selezione. A quelli di destra, i collaboratori, gli fecero rompere le righe e tornare al campo nelle loro tende; a noi di sinistra, “i non collaboratori”, ci fecero rimanere lì, arrivarono un gruppo di sentinelle e ci circondarono, gli inglesi andarono tutti via. Passavano parecchie ore e non arrivava nessuna comunicazione, eravamo quasi nudi, accaldati e stanchi, cominciava a fare molto caldo, dovevamo andare al bagno e avevamo anche fame. Ci fecero stare fino intorno alle undici, eravamo esausti. Poi arrivò un capitano inglese e chiese ancora a tutti noi se c’era qualcuno che volesse aderire, vide che nessuno rispose, diede alcune disposizioni al capo delle guardie e andò via. Ci inquadrarono per tre e ci fecero camminare tutti in fila per tre, circa sette chilometri, circondati e controllati a vista dalle guardie fino a che non giungemmo in un certo posto. Dopo poco si presentò un nostro colonnello italiano che ci fece un lungo discorso, naturalmente spronandoci alla collaborazione e ci consigliò di collaborare tanto la guerra era ormai terminata e di lì a poco ci avrebbero rimandato in Italia. Ma noi rifiutammo ancora. Facemmo altri sette chilometri per tornare al campo, una volta arrivati fummo ancora circondati dalle sentinelle, fino a che arrivò un ufficiale che ci chiese nuovamente se volevamo collaborare. Uscirono sei ragazzi perché: erano sfiniti a tal punto da non resistere più un secondo e così rimanemmo circa in novanta. Naturalmente stare dalla mattina fino alle sei del pomeriggio, accerchiati, dopo avere fatto circa quattordici chilometri a piedi senza bere, senza mangiare, senza casco, senza potere andare neanche al bagno, se avevamo bisogno di fare qualcosa bisognava farlo dove ci trovavamo, stare in piedi per otto ore sotto al sole a 40° gradi circa, significava averci messi sotto tortura, ma questo era il sistema inglese per dominare il mondo. Non fu una richiesta democratica, di scelta, eravamo obbligati a collaborare e oltretutto dovevamo giurare anche fedeltà a Re Giorgio, cosa che non era assolutamente pensabile. I “signori” inglesi si erano comportati sempre male con noi, fin dal primo momento e non ci sentivamo di essere loro amici. Dopo un giorno intero in quella sofferenza ci richiesero ancora se volevamo aderire altrimenti sarebbero stati costretti a mandarci nei campi criminali fascisti, ci fecero una tragica descrizione di come si viveva in quei campi, trattati come schiavi, pochissimo mangiare, senza cambio di vestiario, lavori forzati e non avremmo avuto un minuto di pace.
Era già un anno che stavamo in quel campo, si pensava di finire presto la prigionia lì, anche perché erano già quattro anni che eravamo prigionieri. Ma inaspettatamente un bel giorno gli inglesi ci comunicarono a noi soldati di tenerci a disposizione che presto saremmo stati trasferiti in altre località. Fu una mazzata, ci domandammo dove ci avrebbero portato adesso, ancora non erano finiti gli spostamenti? Non si riusciva a sapere dove ci avrebbero portato neanche nei giorni successivi, non lo sapevano neanche gli ufficiali. Passarono pochi giorni, ci fecero sapere che di lì a due giorni saremmo andati via da quel campo e di tenerci pronti. La mattina presto ci inquadrarono e, a piedi, ci portarono al campo 25, il quale non era molto lontano e che chiamavano campo fascisti. Ci radunarono in parecchi, eravamo tutti quelli che non avevano collaborato con loro. Dopo pochi giorni ci fecero salire sul trenino e si partì, senza sapere dove ci avrebbero portato, dopo con i camion ci portarono al porto, credo di Bombay. Fummo imbarcati su una nave americana. Appena salimmo alcuni dell’equipaggio ci salutarono all’italiana parecchi di loro parlavano quasi bene l’italiano, questo incontro ci rianimò molto, ma dopo un po’ venimmo a sapere che saremmo andati in Australia. Non fu una notizia consolante, andavamo ancora più lontano. Fu allora che ci chiedemmo quanto tempo ancora sarebbe durata la prigionia.
Il viaggio
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