Mestieri
ingegnereLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Stati Uniti d'AmericaPeriodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
paesaggioTemi
paesaggioMassimo Poscetti atterra a New York nel 1952: è in America per partecipare a un convegno di ingegneri e a un viaggio di lavoro alla scoperta dell’edilizia statunitense. Prima di iniziare, si reca in visita da una coppia di amici nel New Hampshire. E comincia a scrutare quel Paese straordinario, lontano anni luce dall’Italia del dopoguerra.
Le formalità di sbarco sono qui una vera cerimonia. Tutti i passeggeri sono radunati in una grande sala dove é inalberata una grossa bandiera americana. Primo appello: trattasi della verifica della vaccinazione. Secondo appello per conoscere i motivi e la durata della permanenza negli S.U.. Terzo controllo per accertarsi dell’avvenuto pagamento degli otto dollari di tassa di sbarco; quarta sosta: la dogana. Ma a questo punto, come un angelo sceso dal cielo, l’autista del Consolato mi domanda in italiano se io ero io, e mi toglie subito da ogni imbarazzo, giacché sarei stato circa il centesimo passeggero che doveva essere visitato da uno dei tre svogliatissimi doganieri. Così ha inizio il mio ingresso trionfale a New York. L’aeroporto di Hempstead (Lond Island), si trova all’estrema periferia est della città, a circa quaranta chilometri dal centro. Partiti in automobile quasi soli, come il ruscello che ne incontra altri mille, fino a diventare fiume che veloce e contenuto va al mare, man mano ci si sono unite per vie laterali, altre macchine, tutte nello stesso nostro senso. La sede stradale s’é raddoppiata, poi triplicata. E’ l’ora in cui incomincia l’esodo dalle case per recarsi al lavoro. Si forma un’immensa, ma ben ordinata fiumana di macchine. Vicino al centro, ma prima di attraversare il canale che ci separa da Manhattan, si é formata una riga di forse quindici macchine affiancate che corrono su tre diverse sedi stradali. Prima di giungere all’East River, le strade si divaricano: una va in galleria sotto il fiume, le altre due percorrono il ponte, a due piani (Queensboro bridge). Penetriamo nella zona centrale della città.
Debbo proseguire al più presto per il New Hampshire. Non é facile scoprire qual’é il treno che va in questo benedetto paese, giacché per arrivare in quella regione si debbono prendere treni di tre differenti società ferroviarie: la N.Y. N. H. & H., la New Haven e la Boston & Maine. Questo per percorrere 550 km. con una spesa complessiva di dollari 11,25; partenza 12,30, ora locale. Classe unica, vagoni a salone, con due coppie di posti per parte, posti comodi, molleggiati, ricoperti di velluto in ottimo stato, aria condizionata, rubinetto di acqua ghiacciata, a un capo toeletta per signore, all’altro per uomini, venditori ambulanti di giornali, bibite e mangerecci. Un insieme di viaggiatori dignitosi e bene educati. Una particolarità strana é quella del biglietto ferroviario. Nel mio caso era, oltre della madre, composto di tre tagliandi, corrispondenti alle rispettive tratte delle tre società. Il tagliando corrispondente alla tratta che si sta percorrendo, va messa sulla spalliera del posto avanti, dove c’é sempre un qualche aggeggio che lo trattiene. Passa il controllore e lo sostituisce con un altro cartoncino colorato, colore che corrisponde alla stazione termine della validità del biglietto. Un po’ prima della fermata, il controllore viene a ritirarlo, come per invitarti cortesemente a scendere dal treno. Al ritiro del cartoncino colorato, io dovevo, invece, sostituire il successivo tagliando del mio biglietto. I primi quattrocento chilometri vengono coperti abbastanza rapidamente, ma per gli altri cento sono state necessarie più di tre ore.
Trovo i coniugi A., con il farmacista dell’Ospedale e sua moglie, in lieta e vivace conversazione nella stanza di soggiorno. L’imbarazzo é presto superato. L’antica amicizia viene ravvivata e subito estesa a tutti i presenti. Ma il mio pensiero dominante é un letto, che riesco a raggiungere solo verso le 11,30, in un alberghetto come solo se ne trovano a Capri e in Alto Adige: pulito, con una certa aria di famiglia, di famiglia momentaneamente assente. H., città prettamente universitaria, é situata in un magnifico, immenso parco: grossissimi, venerandi alberi, verdi prati con disseminati piccoli gruppi di arbusti e di fiori. In questo scenario da villa principesca, si snoda qualche strada, occhieggia qualche edificio. Nella zona centrale, quella dell’Università, le varie facoltà, i dormitori. Alla periferia di questo nucleo, le casette residenziali, tutte linde su prati verdi, guarniti di fiori, circondate e sovrastate da alberi. Le distanze sono sempre ragguardevoli, ma nessuno se ne preoccupa: c’è l’automobile. Tra gli edifici dell’Università, sono anche quelli dell’Ospedale. Costruito nel 1950, esso possiede tutti i più moderni requisiti, alcuni dei quali ai nostri occhi possono sembrare persino esagerati. Un arredamento accuratissimo, letti articolati che possono essere alzati da capo e da piedi: le quattro pareti delle stanze di degenza, colorate con quattro tonalità differenti, ecc. ecc.
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