Paesi di emigrazione
SpagnaData di partenza
2014Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Dalla Castilla alla Galizia, Giacomo si avvicina sempre di più a Santiago di Compostela, meta finale di un lungo cammino intrapreso oltre tre settimane prima dal confine francese.
6 ottobre 2014 — giorno 24 di cammino
Voglio tuffarmi nel freddo abbraccio di questa densa nebbia
Oggi c’è da superare l’ultima montagna. È l’ultimo grande sforzo prima di Santiago. Lasciamo la Castilla per entrare in Galizia, la regione del nord ovest della Spagna. Incontro Ester di prima mattina e percorriamo qualche chilometro insieme. Viene da Budapest, città che mi piacerebbe visitare — come molte altre del resto. Mi invita a farlo sotto Natale, quando l’atmosfera è magica. Attorno a me sempre più verde. Mi rilasso. Gli alberi attorno al ruscello si alternano con i prati dove pascolano placide le vacche, silenziose se non fosse per i campanacci al collo. Mi fermo a scattare numerose fotografie. Anche alle case, da quelle diroccate su cui la natura sta prendendo il sopravvento, a quelle restaurate e più curate. Il fumo esce da un camino: è l’odore che preferisco, scatena in me ricordi di pranzi in famiglia dalla nonna, di notti nella baita in montagna. La Galizia è soprannominata l’Irlanda di Spagna, per la dominazione celtica, il verde e perché piove sempre. Anche oggi il cielo è grigio, ma dalle voci che ho sentito dovrebbe reggere. Speriamo, vista la difficoltà della tappa. Anche se il tempo renderebbe stoica la salita. Passa un furgoncino hippy, quello della Volkswagen, tutto colorato. Noleggiano cavalli per salire sino a O Cebreiro. Potrebbe essere un’esperienza interessante. Il Cammino di Santiago si può fare a piedi, in bicicletta o a cavallo, ma oramai è raro vedere pellegrini in sella. Se ne trovano alcuni in primavera ma solo per brevi tratti poiché è difficile sistemare un cavallo in città. Trovo due quadrifogli vicini: li lascio lì insieme. Ho iniziato la salita da nemmeno dieci minuti che inizia a piovere. Non uso il poncho, vista la potenziale difficoltà del sentiero, uso mantella coprizaino e spolverina. È sprovvista di cappuccio ma non è un problema se mi bagno la testa, l’unico fastidio è relativo agli occhiali ma al prossimo bar mi metterò le lenti. Passiamo in un sentiero di terra e pietra, piuttosto ripido, nel fitto bosco, sotto grandi alberi che ci proteggono dall’acqua. Ai lati muschio e felce. Rimango estasiato. È in assoluto il pezzo più bello di tutto il Cammino, e la pioggia lo rende ancora più speciale. È uno spettacolo che si apprezza ancor di più faticando. Sembra proprio l’amata Irlanda, in cui ritornerò fra un mese. Ora mi ricordo perché il verde è il mio colore preferito. Mi prendo anche un tè verde nel bar di La Faba, dopo tre chilometri di salita. Vacche scendono lungo la strada, guidate dal pastore e dal cane. Ora il sentiero si apre al cielo e di conseguenza alla pioggia, comunque leggera, proprio come in Irlanda. Pioggia che colpisce di lato visto il vento. È un vento che narra le storie di antichi pellegrini eroici che hanno superato queste montagne nonostante le intemperie. Rimango a bocca aperta, non per la fatica ma per lo spettacolo nel vedere le montagne verdi e le vallate sottostanti. Mi fermo e mi sporgo per godermi il panorama, noncurante delle folate di vento che mi travolgono. Forse un giorno racconterà anche di me. Esaltato, arrivo a O Cebreiro senza nemmeno accorgermi della fatica. È un paesino che ha mantenuto la sua tradizione celtica ed io non posso non apprezzare. Le case avvolte dalla nebbia sono di pietra e paglia, grigie, stupende. Ricorre sulle pareti il triskell, antico simbolo celtico.
Dopo una breve visita alla chiesetta dopo trovo un po’ di pace dalla splendida tormenta — ma io non preferivo il caldo e il sole? — cerco un posto dove mangiare. Capito fortunatamente in una vecchia taverna rustica con gli interni in legno. Mi siedo sullo sgabello al bancone e mi viene servita una calda zuppa di verze e patate accompagnata da un bicchiere di vino e un tozzo di pane. Spettacolo. La nebbia rende ancora più suggestivo il percorso nel bosco. Si passa sull’altro versante del monte: sotto non si vede nulla, solo un mare grigio in cui verrebbe voglia di tuffarsi e scomparire. Sono orgoglioso delle mie scarpe, tengono molto bene su questo terreno fangoso, non fanno passare una goccia d’acqua. Potrei immolarle su un altare se mi portano sano e salvo fino in fondo. Il vento si fa più prepotente, la pioggia insistente, la temperatura cala. Ho il piacevole ricordo di una tempesta vissuta da bambino sulla pista ciclabile assieme ai miei genitori, non so perché mi si sia fissato in mente. È il freddo più della fatica a farmi voler arrivare al più presto. Raggiungo Hospital, meta che mi ero prefissato. Gli altri avevano prenotato per Alto do Poio, tre chilometri più avanti, ma non mi dispiace stare da solo questa sera. All’entrata del paese scorgo qualche piccolo fiocco di neve danzare. In albergue chiedo all’hospitalero se pioverà anche domani. Lei mi guarda con un sorriso: credo proprio di sì. Scrivo quattro cartoline: a mia zia Rosina così orgogliosa di me che faccio questo pellegrinaggio religioso, a Ivan che ha compiuto gli anni, a Martina e a Simona. C’è ovviamente un solo piccolo bar in paese e il menù è molto ristretto: pasta con carne e di secondo carne o pesce. Metto la cameriera in seria difficoltà quando le dico che sono vegetariano. Qualche istante di imbarazzato silenzio in cui porto lo sguardo verso lo scaffale con le confezioni di dolci che potrebbero costituire il mio sostentamento. Mi possono preparare degli spaghetti al pomodoro. Sono così buoni che si sciolgono in bocca. Non avrei mai creduto di poter rimpiangere la pasta di Miguel. Dal tavolo vicino una coppia di pellegrini mi offre il vino da loro avanzato. Pazza idea dettata dall’euforia della giornata: passare da Muxia per arrivare a Finisterre.
Il viaggio
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