Paesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1924Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
istruzioneTemi
istruzioneLa scomparsa della madre sospinge Franco a rendersi indipendente e a prendere con grande serietà e grande impegno il prosieguo degli studi in ingegneria a Parigi, dove vive con grande sobrietà cercando di pesare il meno possibile sui bilanci familiari.
Per fortuna la mamma aveva avuto la gioia di vedere il mio successo scolastico al conseguimento del “bachot” di matematica. Naturalmente in famiglia si era discusso del mio avvenire. Non vi era dubbio che avrei studiato ingegneria. Ma l’organigramma delle scuole francesi non mi favoriva. Le cosiddette Grandi Scuole erano quasi tutte riservate ai francesi o ai cittadini di Paesi alleati. Io avrei potuto accedere solo all’Ecole Centrale di Parigi attraverso un difficile concorso. E si trattava di una scuola molto costosa per chi, come me, non poteva conseguire una borsa di studio. Dopo lunghe ricerche, la mamma aveva scoperto a Parigi una certa “Ecole Violet”; un istituto pressochè privato, indubbiamente più accessibile. Un giorno tale scelta fu comunicata ad un conoscente, Mr. Philippoteaux, cliente della Marelli, che aveva stabilito con i miei un solido rapporto amichevole. – Nel 1931 aveva invitato papà, mamma e me ad una gita in macchina di tre giorni nelle più celebri località turistiche della Manica, un viaggio indimenticabile – Fu subito irremovibile: je vous vois à Centrale. Ed il suo parere fu considerato decisivo. Così, alla riapertura delle scuole, in ottobre, io mi iscrissi al corso di “Mathématiques spéciales” che preparava al concorso. Mio padre, e soprattutto Renata che aveva preso le redini della famiglia, accettavano di dedicare ai miei studi due mesi dello stipendio paterno per ogni anno d’iscrizione a “Centrale”. Mi misi a studiare come un pazzo senza tuttavia mai tralasciare la visita quotidiana al cimitero. La classe di “Spéciales” era frequentata simultaneamente dai principianti e da coloro che, dopo due anni, si sarebbero presentati al concorso. Io mi misi subito in testa che non avrei “ripetuto”. Un’onta e uno spreco inammissibili. Così, alla fine dell’anno, (luglio 1933), mi presentai al concorso. Una buona dozzina di esami scritti, fra cui tre prove di disegno che aborrivo, poi, a fine luglio, un orale infernale. I concorrenti erano circa 2000, i posti 250. Fui prima ammesso all’orale, poi riuscii 135°. Nell’estate del 1933 tornai in Italia con Carla. Andammo a trovare la nostra antica donna di servizio Maria che non ci aveva seguito in Francia. Trascorreva i suoi ultimi mesi di _ vita all’Istituto del Cancro. La nostra visita fu la sua ultima gioia. Poi andammo a Roma dai fratelli della mamma Alloggiavamo nella casa spartana dello zio Angelino e , con lui, mangiavamo in una modesta trattoria. Al ritorno dall’Italia, nel 1933, entrai nel lugubre fabbricato della Scuola, poco lontano dai Boulevards. Abitavo in un piccolo alloggio del XV° Arrondissement di proprietà del capo della comunità italiana di Reims che faceva l’impresario a Parigi e disponeva di numerosi locali sfitti o invenduti. Alle otto del mattino cominciavano i corsi. A mezzogiorno un’ora d’intervallo per la mensa. Poi, fino alle quattro; le esercitazioni o il disegno. Al ritorno a casa, dalle quattro e mezzo, riordinavo gli appunti e studiavo. Un’ora per la cena in un ristorante a prezzo fisso (mi pare, 5,65). Poi ancora studio fino alle dieci e mezzo. Stesso orario il sabato e la domenica senza tuttavia -la distrazione del percorso casa— scuola. Unico svago: la domenica sera dopo cena, quando mi concedevo lunghe passeggiate e, ogni tanto, uno spettacolo. Le spese di mantenimento che chiedevo a casa erano rigorosamente limitate all’indispensabile, circa 12 franchi al giorno.
Il viaggio
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