Paesi di emigrazione
LibiaData di partenza
1939Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
guerraTemi
guerraDall’Africa all’Adriatico, lo scenario non cambia: sulla nave ospedale Aquileia, sulla quale Bajoni presta soccorso, va in scena tutto l’orrore della Seconda guerra mondiale.
Dalla 4a Missione – alla 38a Missione = dal 2/1/1941 – al 7/9/1941 =
Queste missioni si svolsero sempre sulle rotte tra i porti dell’Albania, della Dalmazia e i porti italiani dell’Adriatico. Furono missioni di servizio navetta per il personale addetto alla conduzione nave, ma con un pesante lavoro per il reparto ospedaliero particolarmente a causa dei soldati colpiti da congelamento sulle montagne dell’Epiro sul fronte Albanese.
Non voglio descrivere le condizioni di quei poveracci. Da fasciature affrettate e allentate per i continui passaggi da barelle ad autoambulanze e viceversa si vedevano monconi senza forma come nei lebbrosi; alcuni feriti avevano gli arti inferiori amputati. I più fortunati avevano piedi e gambe gonfi, non più riconoscibili e lividi. Tutti erano trasportati in barella. Questo è ciò che ho visto al momento del loro imbarco. Dai miei compagni infermieri sentivo poi raccontare dei casi che loro vedevano da vicino durante il loro servizio, condizioni da far rabbrividire. Si diceva che nei centri ospedalieri di raccolta a Berat e Tepelleni, all’interno del territorio albanese, l’organizzazione era piuttosto carente. Negli ospedali da campo i medici facevano l’impossibile. Nostri ufficiali dovettero recarsi presso questi centri per organizzare il trasporto dei feriti e degli ammalati alla costa. “Radio prua” diffuse la notizia, forse per sentito dire da qualche ferito, che per alcuni interventi in ospedali da campo alle spalle del fronte mancasse anche il necessario: non so però fino a che punto fossero vere queste dicerie. Quello che faceva inorridire era la burocrazia. Per i militari delle altre armi era prescritto che, rientrando al reggimento di appartenenza da un ospedale, dal campo etc., dovessero ripresentarsi con il vestiario al completo: ebbene a quei soldati con i piedi in quelle condizioni, le scarpe venivano messe al collo e trattenute da un’ asola fatta con le stringhe. Inoltre, queste scarpe avevano spesso la tomaia con la punta di cuoio e il dorso in tela verde impermeabile. Questo era il trattamento riservato a chi faceva il proprio dovere e rischiava la vita ogni momento a oltre 1.000 metri di quota, e l’inverno sulle montagne albanesi (ad es. sul Monte Tomori -quota Monastir) era molto rigido. Nei depositi militari di Bari (per sentito dire) vi erano, invece, scarponi di tutto cuoio, ma per diversi motivi rimanevano lì, mancava la “pezza giustificativa di uscita”, molto più importante dei piedi dei combattenti e, forse, molte di queste scarpe hanno preso una via diversa. In quel tempo si diceva che il Minculpop (Ministero della Cultura popolare) e altre associazioni nazionali, di ogni tendenza, provvedevano ad inviare ai soldati combattenti pacchi con generi di vario tipo. Sulla mia nave nessuno ha mai ricevuto nulla. Però, un mattino il postino mi recapita un pacchetto speditomi dall’Arciprete di Monza, Mons. Dell’Acqua: conteneva un paio di calze di lana, opera delle patronesse di non ricordo quale associazione e un piccolo libretto di preghiere. Penso che, compatibilmente ai trasporti verso i vari fronti, tutti i soldati monzesi abbiano ricevuto un ricordo concreto da Mons. Dell’Acqua.
Il viaggio
Paesi di emigrazione
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