Sul “Città di Bengasi”

Il mattino seguente entrammo nella stazione partenopea e qui altra sorpresa per noi: lo spettacolo dei grandi palazzi era di gran lunga maggiore di quello ammirato nella città lasciata la sera precedente. Ma ciò che destò la nostra meraviglia fù l’enorme distesa azzurra del mare sino ad allora visto solo sui libri o qualche cartolina illustrata.

Anche in questa città fummo ospitati in un edificio appositamente attrezzato per la ricezione degli emigranti. L’imbarco sarebbe avvenuto il giorno dopo verso sera. La sistemazione fù ottima, l’alimentazione delle migliori per le nostre abitudini, non avevamo mai mangiato così bene in vita nostra. […]

Nel tardo pomeriggio fummo caricati tutti su vecchie corriere per raggiungere il porto. Quando scendemmo sul piazzale una piccola folla fece ala al nostro passaggio verso la nave gridando al nostro indirizzo “America! America!” supponendo che la nostra destinazione fosse quella di oltre Oceano. Sulla fiancata di prora del bastimento che ci avrebbe portati in Libia si leggeva a caratteri cubitali “Città di Bengasi”. Salimmo sulla passerella una famiglia alla volta e compatti. Sabatina essendo la più grande aiutava mamma a condurre i bambini per mano o in braccio.