Mestieri
militareLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1935Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)La cronaca della resa di Bigiarini e dei suoi commilitoni a Soddo, nell’Etiopia Sud Occidentale.
Dura mattinata di nervi tesi, sempre in vedetta, ripiena delle fucilate vicine, lontane, di boati prima lontani, poi sempre più vicini. Ricordo che due giorni prima, quando prendemmo posizione e i soldati stavano tirando giù i cannoni, sforzandosi di sollevarli, perchè caricati su camion, arrivò all’improvviso un generale col suo seguito, due macchine. Ci chiamò, ci chiese a quale reparto appartenessimo e poi ci disse:- Vedete la curva della strada, là sotto questo ciglione dovete piazzare i cannoni. Lì dovete arrestare, con i vo-stri tiri, le colonne nemiche. Qui si muore, ma non si passa! “Signorsì!” Sull’attenti, saluto. Le due macchine si allontanarono veloci. Povero generale è morto, pace all’anima sua! E’ meglio non riportare i commenti di quegli sfiduciati e affamati pochi soldati. Si cominciavano a sentire i rumori dei cingolati che avanzavano sulla strada, in mezzo al bosco. Demmo ordine ai serventi di caricare i pezzi. Si affacciarono alla curva i primi due carri veloci nemici, si aprì contemporaneamente un nutrito fuoco di fucileria alle nostre spalle. La compagnia di Ascari, posta a nostra retroguardia si era dissolta come il ghiaccio al sole e rimanemmo così tra due fuochi. Il collega più anziano ordinò di far fuoco. Il primo pezzo sparò e la risposta immediata fu un colpo di cannoncino dei carri armati leggeri nemici che forò lo scudo del nostro cannone. Erano ad un centinaio di metri: bastavano quattro o cinque colpi così per annientarci. Invece un colpo solo: di avvertimento. “Ragazzi non scherzate!” Il colpo nemico forò lo scudo e forò il casco del mio collega che comandava la sezione. Un centimetro più sotto e chissà come gli sarebbe andata. Due soldati furono feriti leggermente. Cosa fare? Avrei voluto che in quel momento fosse stato lì il generale di cui ho parlato prima per condividere con noi, due ufficiali richiamati, la responsabilità della vita dei diciotto soldati che erano con noi, unici difensori, di fronte a una colonna di carri armati e tutto il seguito. Gli indiani a piedi stavano avvicinandosi, i carri si erano fermati al di sotto sulla strada. Non c’era via di scampo: o sparare e morire tutti e venti o cedere. Non si poteva andare indietro, nel bosco gli sciftà ci avrebbero fatto fare la fine dei capponi. Ci consultammo brevemente il collega ed io. Posso anche sbagliarmi, ma il sacrificio è utile se il rischio porta ad un risultato, ma lì non c’era che l’isolamento e gli altri, che ci avevano preceduto, in fuga. Ordinammo ai soldati di mettersi a terra in un piccolo fossato scavato il giorno prima ed io mi presi il triste incarico di legare un fazzoletto bianco in cima ad un fucile e poi…. Dio ce la mandi buona. Qualche secondo di attesa e poi una voce in cattivo italiano: — Artiglieri, uscite fuori? Attimi che sembrano secoli! Era finita. Uscimmo dal fossato. “Arrendez vous, vos soldats là bas!” Fu l’ordine.
Un capitano ci tolse le pistole. Avevo una bomba in tasca, gliela porsi, si mise a ridere, la gettò lontano. Un po’ di soldati negri si presero cura… di noi e con le punte delle baionette al sedere ci incolonnammo con qualche cosa di piccolo bagaglio che eravamo riusciti ad afferrare. Rivivevo, con la faccia nascosta sotto la coperta bagnata, il corteo della sera avanti, mentre ai lati della pista, truppe di varie razze facevano bottino di quello che potevano. Scorsi il mio attendente che mi fece un cenno con le mani, come fanno i bambini per dire “non c’è più niente” e capii che del mio bagaglio personale, non c’era che il ricordo. Era poca roba, ma nel giro di pochi mesi era la seconda volta che perdevo tutto e questa era l’ultima. Nudi alla meta! Riuscii a nascondere in certe parti vitali l’anello matrimoniale, l’anello di fidanzamento e l’orologio. Tutte le speranze erano rimaste là, sotterrate come aveva sotterrato l’otturatore dei cannoni, prima di arrenderci. Là le speranze ed i sacrifici inutili, duri di tappe forzate fra le boscaglie: fatte dì giorno e di notte con pioggia e sole, sotto il cielo sereno e l’infuriare di mitragliatrici, di spezzoni lanciati da caccia nemici, mentre quei poveri diciotto soldati, ogni volta erano costretti a caricare o scaricare a braccia, sollevandoli di peso, i due cannoni, le munizioni. Soldati febbricitanti di malaria, con i piedi tormentati da pulci penetranti, avvolti in foglie di banane, con la bocca che ricordava troppo spesso il sapore di te amaro o di borgutta.
Il viaggio
Mestieri
militareLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1935Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Ferrero Bigiarini
“Avevamo avuto quell’educazione”
Sono come un capitano di lungo corso, che dopo aver navigato per anni ed anni attraverso...
La separazione
Per le strade di Addis Abeba gran via vai di autocarri militari e del Governo. Si...
L’ultimo saluto
Un motore pigro, con le batterie mezze scariche che fatica a mettersi in moto, poi lentamente...
Cinque righe lapidarie
Questa è la storia triste di un uomo che si era formato una famiglia dopo tanti...