Mestieri
psichiatraLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
IndiaData di partenza
2002Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Ultimi giorni, ultime opere e ultime riflessioni sulla straordinaria esperienza umanitaria vissuta da Giuseppe Corlito in India nel 2002.
Madaplathuruth (House of Fraternity), 1 dicembre 2002, 21 ora locale
Siamo all’ultimo giorno e le valige sono ormai pronte. Ieri sera ho fatto definitivamente il pieno dell’ India. E’ cominciato venerdì durante il solito intervallo dei gruppi al Corso di sensibilizzazione sui problemi alcolcorrelati. Ormai avevo già visto i reparti che mi volevano mostrare del Lourdes Hospital e passeggiavo come al solito lungo il corridoio del Nursing College: l’odore del curry mi ha dato una nausea marcata più del solito.
Questa mattina abbiamo messo la prima pietra anche della casa della bambina adottata da Francesco. Si è ripetuto il rito, che ha officiato il parroco del villaggio. Questa volta la fossa era più larga e ci siamo scesi io e Francesco insieme, abbiamo preso il blocco di tufo a quattro mani e l’abbiamo sistemata sulla malta. Poi con i piedi ancora nella fossa ci siamo abbracciati. “Ora le radici dei Corlito sono state messe in India”, è stato il commento di Suor Mariangela. Dopo la posa della prima pietra delle due case, ritornati alla missione, abbiamo avuto la visita di Padre Francisco Xavier, con un bellissimo giubba in tessuto dorato, che si è intrattenuto gentilmente con noi per circa un’ora, conversando in buon inglese. Ci ha persino cantato alcune canzoni scritte e musicate da lui con una bella voce molto calda. Ci ha spiegato il meccanismo perequativo con cui reggono l’Ospedale di Lourdes: hanno delle stanze a pagamento dove una giornata di degenza costa 300 rupie e poi corsie a basso costo (30 rupie), che, se ho capito, riescono a finanziare con i ricavi delle stanze a pagamento. Ho pensato che era molto gentile perché era venuto a portarci i diplomi che attestano la nostra attività di insegnamento con la sua triplice complicatissima firma, ma poi ho dovuto considerare ancora la mia ingenuità, quando ho visto il pacco di rupie che Suor Mariangela gli ha consegnato per i costi dei corsi, compresi i pasti per noi e i corsisti. Forse sono troppo malevolo e queste sono solo due delle tante facce dell’India.
A fine mattina abbiamo fatto visita ad un orfanotrofio, fondato e gestito da un’organizzazione laica che ha iniziato un selfinademan, che senza distinzione di razza e di religione accoglie bambini presi dalla strada, alcuni di loro sono feriti e mutilati per chiedere l’elemosina. Non stavo molto bene, perché mi è sembrato che ci si affannasse a vedere più cose possibile in questo ultimo giorno; per usare una espressione forte e probabilmente ingiusta, una sorta di “turismo della disperazione”. Ma ormai avevo fatto il pieno. Mi ha colpito che sullo sfondo delle piccolo palco, dove alcuni bambini si sono esibiti per noi in un bughi-bughi, ci fossero dipinti il nostro Cristo, un’immagine de La Mecca e una del dio-elefante indù, un sincretismo che ripropone il bisogno dell’India fuori di ogni ideologia religiosa. Gli altri bambini stavano in lunghe file seduti per terra ad assistere, mentre le insegnanti sorvegliavano con i loro sari variopinti e in una mano il piccolo giunco con cui possono colpire i bambini. Da quello che mi dicono Francesco e Chiara è il consueto strumento educativo che hanno trovato in tutte le scuole. Abbiamo fatto una visita dell’intera costruzione, un enorme hangar a tre piani con davanti una piantagione di alberi della gomma, come avevo visto solo al cinema, con un taglio obliquo nella corteccia e un pentolino subito sotto a raccogliere la resina che cola dalla ferita. All’ultimo piano stavano ricavando dalla terrazza un locale da adibire a servizi. Per il momento gli spazi comuni sono anche quelli per il riposo, la differenza è che durante il giorno tolgono da terra le stuoie dove i bambini dormono. Gli unici letti sono dietro una parete di cartone con sopra scritto “unit care”, cioè si può stare a letto solo se si è malati. In questo giro ciascuno di noi ha preso in braccio un bambino dei più piccoli; Luigina, l’infermiera volontaria, che si è più prodigata per rendere possibile l’intervento cardiochirurgico della piccola Roxy, ha tenuto a lungo in braccio un bambino, che poi alla fine non voleva essere rimesso in terra nel box (un angolo recitato dell’unico stanzone). È stato uno strazio doverlo lasciare. Chiara ha guardato a lungo un bambino che stava da solo in un angolo silenzioso, con lo sguardo perso nel vuoto, come se sapesse che non poteva aspettarsi nulla nella sua solitudine. Neppure piangeva, neppure si muoveva, ogni tanto dormiva così seduto nell’angolo. Alla fine Chiara è riuscito a prenderlo in collo per un poco. Si è fidato, ma non ha neppure abbozzato un sorriso. Siamo usciti un po’ alla chetichella, firmando il libro delle visite con la promessa di fare qualcosa. Così la sensazione di impotenza è stata verticale.
Il viaggio
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Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gli altri racconti di Giuseppe Corlito
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