Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1937Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)La vita in miniera che Aurelio Guccini deve intraprendere sin da giovanissimo incide molto sulle sue condizioni di salute. In Sardegna, dove si è trasferito in seguito a uno spostamento del padre, si ammala gravemente e deve subire interventi invasivi.
A volte lavoravo anche la domenica da solo e dovevo percorrere 500 metri di galleria al buio con un’unica luce, quella della torcia. Ogni tanto mi giravo indietro perché mi sembrava che qualcuno mi seguisse, ma in realtà era solo il rumore dei miei passi che facevano eco nell’oscurità. Negli altri giorni lavorativi, talvolta, veniva pure mio padre a vedere cosa stessi facendo; infatti lui era un sorvegliante e controllava tutto il personale. Durante quelle otto ore io leggevo tutti i libri che più mi piacevano, per esempio quelli di Emilio Salgari e poi di tanti altri autori a me sconosciuti prima. Intanto il tempo passava. Correva l’anno 1939/40 quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e allora si dovette abbandonare tutto quello che avevamo realizzato in quegli anni; partimmo solo con poche cianfrusaglie. Il regime era cambiato e noi eravamo stati fortunati a tornare nel nostro Paese, nella vecchia casa di montagna. Quasi subito però io e mio padre siamo nuovamente partiti, questa volta per la Sardegna. Il paese si chiamava Bacuabis, vicino a Iglesias, e noi dovevamo fare delle ricerche per un ingegnere che riteneva che nella zona ci fossero dei grandi giacimenti di carbone. Dovevamo scavare il terreno e potevamo farlo solo di notte perché di giorno le temperature raggiungevano i 40°. Purtroppo io non ebbi fortuna e presi la febbre della malaria; mi mandarono in una sorta di infermeria (in realtà un capannone privo di attrezzature adeguate dove non riuscivano a guarirmi. Mi davano il “chinino” ma non aveva effetti se non quelli di procurami sempre sonno e tanti incubi: camion che mi venivano addosso, aerei che mitragliavano… E quando arrivava l’ora di mangiare non mi davano niente perché dicevano: “Tanto lui dorme, lasciamolo stare…” Un giorno mio padre decise di farmi ricoverare all’ospedale di Cagliari; quando arrivai mi pesarono e tutto vestito ero 43 Kg. Così decisero di farmi degli esami: dovevano bucarmi lo sterno.
Il primo buco fallì, che dal dolore ho creduto di morire; si passò al secondo, fatto con un ago grosso come un ferro per fare le calze. Così mi estrassero il midollo per analizzarlo; risultò che avevo la perniciosa anemica. Incominciarono le prime cure, ma la febbre non mi abbandonava. Dopo tre mesi cominciai a stare meglio, ma la mia degenza durò ancora per molto tempo. Tutte le settimane mio padre mi rendeva visita e mi diceva che era contento che cominciavo a stare bene. Poi mi parlava del suo lavoro, diceva che avevano trovato un grosso giacimento carbonifero a pochi metri sottoterra.
Il viaggio
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