Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1937Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)La famiglia Guccini torna a vivere in Italia. Fa base ad Arezzo, dove Aurelio e Laura comprano casa, ma per anni sarà tutt’altro che una famiglia sedentaria: Aurelio trova lavori sparsi nei cantieri di tutta Italia e spesso porta con sé i figli per condividere impieghi e fatiche.
Avevamo racimolato un po’ di soldi grazie alla mia liquidazione e quindi mia moglie decise di comprare un altro appartamentino di 3 stanze da dare in affitto; in quel periodo le case costavano il giusto prezzo 1.800 mila lire. Io avevo sempre paura di rimanere senza lavoro, se avessi avuto il coraggio di mia moglie avrei potuto fare altre cose perché i soldi c’erano e per colpa mia abbiamo perso molte buone occasioni. Mia moglie diceva: “Compriamo! Se va male si rivende” Ma io ero fatto così, non volevo. Dopo un mese trovai lavoro vicino a casa, in via Guadagnali, dove si faceva una galleria per gli scoli delle acque del sottopassaggio della ferrovia. Ma lì i lavori stavano per finire, così che venni a sapere da un mio amico che cercavano del personale per la costruzione dell’autostrada. Il giorno dopo partimmò tutti e due insieme con la moto verso Incisa (Valdarno) dove c’erano gli uffici del cantiere; ci chiesero cosa facevamo come mestiere e io dissi il minatore e allora mi risposero che mi avrebbero contattato telefonicamente. Così infatti fu e il primo giorno un addetto ai lavori ci portò in una cava di pietra dove c’era tutta l’attrezzatura. Lì trovai un ragazzo giovane che doveva lavorare con me, era di Montevarchi. Io avevo un permesso per fare esplodere le cariche esplosive a cielo aperto, mi era stato rilasciato dalla questura di Arezzo poiché avevo fatto una scuola specifica per questo mestiere. Così cominciò il nostro lavoro nel cantiere per costruire la strada di accesso alle gallerie, questa veniva poi tutta massicciata di pietra in modo che i zzi pesanti non sprofondassero nel terreno. Terminato questo iniziammo lo scavo delle due gallerie; all’inizio procedeva tutto bene, avevamo già fatto i primi anelli in cemento armato a 50 metri dentro la montagna, ma non avevamo fatto i conti con il tempo: era inverno e pioveva sempre a dirotto. Per settimane iniziavamo a lavorare alle sei del mattino fino alle due. C’erano tre turni di lavoro anche di notte. Una mattina mi assentai un attimo per prendere un attrezzo e quando tornai la galleria non c’era più: un enorme frana era venuta giù dalla montagna e sette operai erano rimasti prigionieri sotto il cemento armato degli anelli che avevamo costruito allora tagliammo il tubo dell’aria compressa e cosi fecero anche loro rimasti intrappolati dentro il tunnel. Tramite il tubo di ferro, che era di diametro 100 gli mandavamo da mangiare. Nel frattempo iniziammo a scavare un secondo tunnel di fianco a quello e in quattro giorni lo terminammo, ma le dimensioni erano al minimo pur di fare presto per tirare fuori i minatori intrappolati. Mentre le ruspe e le pale meccaniche toglievano la terra e gli alberi della frana noi si dovette iniziare a scavare altri due tunnel nel versante opposto, verso il ponte sull’Arno. Intanto in casa mia c’era stato un grande evento: mio moglie Laura mi aveva fatto un bel regalo con la nascita del quarto figlio, Paolo. In due anni la galleria fu terminata ed anche il grande muraglione di sostegno della frana. Io cambiai impresa edile, con il mio compagno di lavoro andammo a Voltri (Genova). Stavano costruendo una delle prime gallerie di 18 metri di larghezza che si facevano in Italia: quattro corsie più un metro di marciapiede per lato di scorrimento. Era l’autostrada chiamata Voltri-Alessandria. Tornavo a casa ogni quindici giorni, ma lì stavo bene, mi spostava con una vespa 50 e andavo a pescare sotto il passo del Turchino. Intanto mi avevano nominato capo del personale. Dopo poco più di un anno mi trasferii a Campobasso e portai con me pure il mio figlio maggiore che aveva finito gli studi di terza media. Lui faceva il marcatempo cioè con un libro segnava quelli che erano presenti sul lavoro e a sera controllava le ore che avevano fatto gli operai; dopo le cinque pomeridiane lui lavorava in ufficio e aiutava il ragioniere nella contabilità. Nel frattempo morì mia madre che era piena di dolori reumatici, artriti deformanti. Mi trasferii nuovamente nella Caccamo di Civitanova Marche. Anche lì portai mio figlio che si era già sposato a soli diciotto anni.
Il viaggio
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