Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
LituaniaData di partenza
2011Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)La scoperta di Vilnius ispira a Massimo anche la composizione di alcune poesie dedicate alla città e alla sua bellezza.
In una piazzetta c’era una statua che rappresentava un angelo di metallo scuro. Più avanti si arrivava alle chiese gotiche, attaccate l’una all’altra, di Sant’Anna e San Bernardino: furono le prime chiese che visitammo. La giornata era grigia ma non eccessivamente fredda. In pochi minuti eravamo già in pieno centro. La parte vecchia di Vilnius è soprattutto barocca, inserita nel patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, è una città incantevole: le strade sono pulitissime, non una cartaccia o una cicca (pochissimi fumatori a giro), quelle del centro spesso con un acciot-tolato caratteristico che richiede un buon paio di scarpe (io per sicurezza mi ero portato quelle da montagna, nell’eventualità di neve e ghiaccio). Nella pittoresca Pilies Gatve si aprivano vari bar e gelaterie: cambiati un po’ di soldi in banca ci infilammo in un locale di specialità italiane (ma non parlavano italiano), Soprano, dove prendemmo una fantastica cioccolata calda. Là scrissi la mia prima poesia lituana:
LA CAPITALE
La capitale mostra un volto composto, dignitoso. A nevoso inoltrato sopravvive il natale. Lennon risuona in un sax nella Cattedrale.
Mi chiedo come sarebbe vivere qui.
L’ingombrante eredità sovietica traspare in certe vie periferiche, in certi palazzi fatiscenti.
Nella città vecchia tutto cambia, qui è tutto più nuovo.
Fantastiche morbide nubi scorrono sulla torre inaccessibile.
Forse nevicherà.
Completai la poesia nella Cattedrale, a due passi dal locale. La grande piazza ospitava la chiesa principale, un maestoso palazzo di rappresentanza ed una torre (chiusa per la-vori) che sembrava un razzo pronto a partire. Nella cattedrale gli altoparlanti diffondevano canzoni natalizie e brani di musica pop come “Immagine” di John Lennon. Ci sedemmo per riprendere fiato e quindi proseguimmo per Gedimino Prospektas, un grande viale dove si trovava il ristorante consigliatoci da Rolando (che non si era ancora fatto vivo se non per sms): “La crepe”. Locale interessante, non troppo caro, dove si possono mangiare cose tipiche e non solo. Si trovava davanti al Novotel. Prendemmo il piatto del giorno e spendemmo 13 litas a testa. La cucina lituana è molto calorica, probabilmente per combattere gli inverni gelidi, e la durata media della vita è bassa (66 anni per gli uomini) a causa di alcol, incidenti e suicidi. Tornammo quindi nella cattedrale per aspettare Jonas, con cui avevamo appuntamento alle 15. Intanto era cominciato a piovere ed il tempo era uggioso, inoltre si era alzato anche il vento: ma era una pioggerella leggera ed intermittente. Era il vento che dava soprattutto fastidio e che mi piegava l’ombrello. Notai di sfuggita che ero l’unico ad avere un ombrello: i locali non lo usano, preferiscono girare incappucciati. D’altra parte la pioggia quassù è sempre leggera. Seduto su una panca di legno nella cattedrale, nell’attesa, iniziai a leggere un libro di Gogol’. Jonas arrivò con qualche minuto di ritardo: ci incontrammo all’ingresso, davanti al negozietto di souvenir. Subito si rivelò un tipo simpatico ed accogliente. Ci propose di farci fare un giro nei dintorni, iniziando dalla torre di Gediminas, che svettava sulla colli-na adiacente alla cattedrale. Rolando ci bidonò, come avrebbe poi fatto sistematicamente nei giorni seguenti, così andammo con lui sulla collina. Ben tre lingue si intrecciarono nella nostra conversazione a tre: l’esperanto, l’inglese e l’italiano. Anselmo comprendeva un po’ l’esperanto, pur non avendolo mai studiato, ma Jonas parlava un buon inglese e persino qualche parola d’italiano. Dal piazzaretto in cima alla collina si vedeva un buon panorama della città vecchia da una parte e di quella nuova dall’altra, con l’inconfondibile profilo della torre della televisione (teatro di un massacro da parte dei russi, avvenuto nel 1991 proprio in quei giorni), i grattacieli e il fiume Neris che attraversa serpeggiando la città. Jonas era molto preparato sulla storia della Lituania: una storia fatta soprattutto di invasioni e sangue. Russi, tedeschi e polacchi si sono di volta in volta spartiti il territorio lituano, inglobandolo nei rispettivi imperi, fino all’indipendenza della nazione all’inizio degli anni ’90 e il rapido processo di europeizzazione. In Lituania si vive bene, pur con i problemi di disoccupazione che interessano ormai molte nazioni europee in quest’epoca di crisi, e lo stile di vita è molto europeo anche se sopravvivono tradizioni antichissime, addirittura pagane (il popolo lituano è stato l’ultimo in Europa ad essere cristianizzato, alla fine del ‘300). Jonas ci raccontò anche di sé, di quando faceva il soldato nell’armata sovietica, in Siberia e in Afghanistan. Ci parlò dei suoi figli e di come incontrò il movimento esperantista, e di come avesse guidato gli esperantisti lituani nella partecipazione alla catena umana che collegò Vilnius a Tallinn (capitale dell’Estonia) nel ’91. Quell’uomo era una vera miniera di informazioni che forniva destreggiandosi tra esperanto ed inglese, lasciando a me il compi-to di tradurre per Anselmo. Intanto si era fatto buio. Prima delle quattro è già notte lassù al nord, in più la giornata era grigia e ventosa. Salimmo fino in cima alla torre per una serie di scale di pietra, dopo aver pagato l’ingresso di 5 litas anche per il nostro amico esperantista: in cima la vista era ancora più spettacolare. La bandiera lituana, a bande orizzontali (verde, giallo e rosso) sventolava in alto, come ad affermare l’orgoglio nazionale. Riscendemmo poco dopo, ricacciati dal vento gelido, e visitammo il palazzo accanto alla cattedrale, distrutto da Napoleone e ricostruito in tempi recenti. Prendemmo poi la macchina per fare un giro in periferia. Ci fermammo presso un punto panoramico a cui si arrivava tramite delle scale nel bosco, a Puékoriu Atodanga (mi sono fatto poi scrivere il nome da Jonas). Jonas ci indicò delle luci in lontananza, giù al Belmonto Parkas, dove si trovava una vecchia fab-brica di cannoni: purtroppo non c’era tempo per visitarla.
Riscendemmo al buio (io mi ero portato una pila tascabile, su suggerimento di Anselmo che poi si è dimenticato di portare la sua) e ci fermammo a prendere un tè nero in un barrettino vicino alla strada. Era un posto molto pittoresco, con un bel fuoco scoppiettante e l’infuso del tè servito in modo particolare. Anche la toilette era pittoresca; fuori dal bar, nel bosco, un capanno di legno. Alle 18 avevamo appuntamento all’Università di Pedagogia, in Studentll gatve, con gli esperantisti (giovani e meno giovani) per la riunione in nostro onore e per darci il benvenuto. Arrivammo giusto in tempo (qui tengono molto alla puntualità) e trovammo una decina di persone, tra cui tre ragazze. Ci fecero accomodare ai banchi di legno, che avevano un che di scolastico. Fui invitato a parlare anch’io della situazione dell’esperanto in Italia e a Firenze: non mi ero preparato nulla, così improvvisai. Alla fine mi fu regalato un libro, un’antologia lituana tradotta in esperanto, e festeggiammo con cioccolatini, dolcetti tipici e vino italiano. Un’altra bella sorpresa fu vedere, sul tavolo, un numero recente di “Literatura foiro” (la più importante rivista letteraria esperantista) con un mio raccontino. Una coincidenza ben augurante. Dopo la riunione accettammo l’invito a cenare insieme in un centro commerciale tipo Gigli ma molto più grande, in periferia. Eravamo una bella tavolata di amici vecchi e nuovi: io e Anselmo ordinammo le tagliatelle (discrete). Le lingue si mescolavano (inglese, italiano, esperanto e lituano) al tavolo; io stesso non facevo che passare da una all’altra (ad eccezione del lituano) a volte confondendomi. Conoscemmo in quell’occasione una ragazza diciottenne, molto carina anche se un po’ troppo seria, di nome Egle: si offri gentilmente di riaccompagnarci all’ostello visto che viveva li vicino. Quando scendemmo nel parcheggio sotterraneo, gigantesco, Jonas si accorse di non riuscire più a ritrovare la macchina (dove avevo lasciato delle cose): dopo aver girato invano per un bel po’ ci avviammo alla macchina di Egle. Fuori pioveva piuttosto forte, tirava vento e faceva un freddo boia. Infine il nostro amico riuscì a trovare la macchina e tutto andò a posto.
Il viaggio
Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
LituaniaData di partenza
2011Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gli altri racconti di Massimo Acciai
A Vilnius con gli esperantisti
Era da tempo che il mio amico Rolando, trasferitosi a Vilnius, Lituania, intorno al 2011, mi...
La repubblica di Uzupis
Mi svegliai presto ma rimasi a letto nel dormiveglia fino alle nove circa. Dalle 9 alle...
Nuove amicizie
Mi svegliai alle 9. La temperatura era calata durante la notte, era piacevole starsene a leggere...
Secondo viaggio
Secondo viaggio in Lituania Quel mercoledì 16 luglio era una bella giornata di un'estate non troppo calda....