Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
SveziaData di partenza
1964Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
lavoroTemi
lavoroLe battaglie sindacali di un italiano trapiantato in Svezia negli anni ’60.
Nacka, 1968
Alla quasi febbrile ricerca di altri connazionali, venni casualmente in contatto con degli italiani iscritti alla SAI, Società Assistenziale Italiana. La SAI era stata fondata nel 1907 (con il nome di Società itliana di mutuo soccorso e beneficienza, Principe di Piemonte) con il nucleo portante composto da tornitori e fresatori, prevalentemente bresciani e vicentini, assunti dall’Atlas Copco, una azienda produttrice di macchinari per scavi minerari. Il nucleo originale, quello del 1907, era composto da mosaicisti, cantanti, figurinai, terrazzieri, fabbricanti di figurine di gesso, gelatai,ecc. Tutti mestieri nei quali gli italiani eccellevano. La SAI attuale era composta da circa 300 soci e familiari ed era situata in una baracca adiacente la fabbrica precedentemente adibita a lugo di prima accoglienza per i nuovi operai provenienti dall’Italia. Su circa 150 mq c’era una ricchissima biblioteca di più di 2000 volumi, una cucina sufficiente ed una grande stanza di intrattenimento, per assembleee, feste danzanti e per il gioco delle carte. Il locale era messo gratuitamente a dispozione dall’Atlas Copco, che provvedeva anche alle spese accessorie di utenze e manutenzioni. La SAI era allora la più grossa delle associazioni dei 7000 italiani che vivevano in Svezia. Era anche la più cosciente e battagliera nell’affermare i diritti di emigrati e di immigrati. Lo facevano dal punto di vista di cittadini lavoratori operanti in un paese che era riuscito a conquistarsi diritti civili fra i più avanzati nel mondo. Verso l’Italia le rivendicazioni riguardavano lo stato di abbandono cui erano lasciati. Verso la Svezia gli argomenti erano innanzitutto la possibilità di godersi la pensione in patria e poi l’insegnamento dell’italiano ai figli, nonché contro poche altre situazioni discriminatorie verso gli immigrati in generale. I rapporti con l’ambasciata ed il consolato erano pessimi e conflittuali, anche perchè l’ambasciata sosteneva ed incoraggiava altre associazioni minori di italiani che si dimostravano meno conflittuali, se non accondiscendenti verso qualsiasi cosa facesse o non facesse l’Italia verso i suoi cittadini. In questo ambiente entravo io, come unico studente lavoratore di cui quella comunità andava orgogliosa. In un ambiente altamente cosciente e di cultura operaia venivo visto come quello cui chiedere consigli su quali libri comperare per la biblioteca oppure quello che avrebbe potuto, con parole adeguate, esprimere i concetti che una comunità da troppi anni all’estero, non riusciva più ad esprimere in perfetto italiano. La coscienza ed il pragmatismo invece no! Apparteneva a loro e non potevo far altro che imparare. E così feci. Lo spirito da ventenne irruento lo cambiai in riflessione e nella ricerca dei metodi più giusti, e forse meno immediati, per raggiungere il risultato. Venni incaricato di contattare altre associazioni di italiani in Svezia e riuscii a metterne assieme una decina, prevalentemente residenti nella parte centrale del vasto territorio nazionale. Formammo la Giunta delle organizzazioni italiane, conosciuta come la Giunta. Mai nome fu più infelice, perchè dovevamo sempre spiegare che la nostra Giunta era tutt’altra cosa della Giunta dittatoriale dei colonnelli che allora aveva preso il potere in Grecia. Con la nuova forza data dal numero, iniziammo estenuanti trattative con rappresentati di governo e sindacati svedesi e con burocrati dell’ambasciata per riscrivere il trattato italo-svedese sulle pensioni. Una mano decisiva ci fu data dall’allora responsabile per l’emigrazione della CGIL, Vercellino, che la CGIL stessa, dietro nostra richiesta, ci aveva spedito a Stoccolma. Durante i pochi giorni – ospite a casa mia – nei quali partecipò alle trattative, riuscì ad impostare la discussione nei termini giusti ed accettati da tutti. Nonostante il suo incisivo intervento professionale, l’accordo non veniva ancora firmato. Poco tempo dopo Aldo Moro sarebbe venuto a Stoccolma come ministro degli esteri. Decidemmo quindi di fare una azione di forza. Nel giorno del suo arrivo organizzammo uno sciopero di 3 minuti dalle 12 alle 12 e tre da parte di tutti gli italiani in tutti i luoghi di lavoro dove essi erano attivi. Fu uno shock per la società svedese, dove gli scioperi non si facevano da decenni. All’Atlas Copco si formò anche un corteo all’interno dei reparti, che raccolse la comprensione degli svedesi. Venne stampato e distribuito in 4000 copie il ciclostile del periodico “Il lavoratore”, che stampavamo per la comunità. Nel pomeriggio consegnai personalmente a Moro una copia del ciclostile durante il banchetto in ambasciata. Il personaggio, allora, mi sembrò moscio e poco interessato ed invece, pochi mesi dopo, venne firmata la nuova convenzione che ci permetteva di venire a morire in Italia da pensionati. Per un ventenne la cosa era assolutamente irrilevante, anche se ora ne godo il frutto.
Confortati dal risultato, fummo una delle forze più importanti nell’istituire una organizzazione che raggruppasse l’immigrazione di tutte le nazionalità presenti in Svezia. Ma questa è un’altra storia appassionante, che non penso faccia parte del tema di questo scritto. Voglio solamente aggiungere che una delle organizzazioni aderenti era quella dei disertori americani dalla guerra del Vietnam e che greci e turchi, che in patria si combattevano, erano qui uniti e solidali. Gli unici che non riuscimmo mai a federare furono gli jugoslavi, a causa del movimento ustascia che li divideva. Assieme riuscimmo a far capire alle autorità svedesi la differenza fra paternalismo ed integrazione. Spingemmo per il diritto al voto nelle consultazioni amministrative, per il sostegno economico alle associazioni di immigrati, per trasmissioni radiofoniche in lingua e per l’insegnamento in orario scolastico della lingua madre. Decisiva fu l’esistenza della Montessori e del Movimento di Cooperazione Educativa MCE, che ci diedero gli argomenti giusti per condurre quelle rivendicazioni. Infine le “Colonie libere” di italiani in Svizzera ci furono sempre al fianco, anche se i loro problemi, di vero razzismo, erano incomparabilmente superiori ai nostri.
Per quel che riguarda la SAI, di certo vi ho incontrato tanta solidarietà. Non frequentavo i locali che qualche volta al mese, pur abitando a poche centinaia di metri. La mia giornata era popolata da lezioni universitarie, lavori saltuari per mantenermi e frequentazione con gli indigeni e le indigene. Un posto che durante i mesi non innevati amavo tantissimo erano “gli orti”. L’Atlas Copco ci aveva assegnato un piccolo podere in riva ad un lago, dove ognuno di noi, che lavorassimo o meno per l’ATLAS, aveva un piccolo spazio dove coltivare verdure. Avevamo costruito un capanno con una lunga tavola all’interno ed una costruzione esterna per preparare le grigliate. Il luogo serviva anche per quei connazionali che, in qualche bella gironata estiva, si dava ammalato o prendeva ferie per godersi la vita. In quegli anni l’ecologia non era ancora un problema molto sentito e noi italiani eravamo agli ultimi posti come coscienza ecologica. Nonostante parecchi anni di vita in un ambiente rispettoso della natura, tutte le bottiglie di vino vuote venivano lanciate lontano nell’acqua del lago. Decine di anni di questa usanza, dovevano avere formato una montagnola di vetro sott’acqua. Successe così che, forse attratta dal profumo di griglia che si spandeva per l’aria, una barca a vela si avvicinò più del solito alla riva vicino al capanno. Ad un certo punto la chiglia urtò contro la montagna di vetro ed il capitano si fermò a lungo a consultare la carta nautica e ad imprecare contro la sua approssimazione. Agli orti grigliavamo anche le papere, ingrassate da una moltitudine di svedesi, che qualcuno cacciava con la rete durante la notte. Selvaggi! Il rischio di espulsione immediata non riusciva a battere la cultura atavica dell’infanzia.
Il viaggio
Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
SveziaData di partenza
1964Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di G. C.
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