Agatina Ajello

Nel 1963 Agatina Ajello comincia a scavare nella memoria. Torna a quarant’anni prima, quando piccolissima viveva nella Bengasi italiana, in Libia, dove era nata nel 1924. I suoi ricordi coprono il ventennio che va dal 1929 al 1949 e ci portano dentro la realtà coloniale, a raccontare la vita di tutti i giorni vista attraverso gli occhi di una bambina, prima, e di un’adolescente poi. Racconta le abitudini culinarie, i cibi e i sapori che hanno segnato la sua infanzia, la quotidianità vissuta con i genitori e con i coetanei, italiani e arabi, dentro e fuori dalla scuola. Racconta anche di una profonda integrazione tra chi, come lei, proveniva da famiglie italiane emigrate in cerca di un lavoro, e di un reddito, e le popolazioni locali che vivono l’occupazione straniera da molti anni, da quando l’Italia liberale di Giovanni Giolitti, nel 1911, l’aveva conquistata muovendo guerra all’Impero Ottomano. Un’integrazione che si cementava anche in forme comuni e condivise di discriminazione contro la comunità ebraica locale. Sullo sfondo dei racconti di Agatina affiora anche la rappresentazione del fascismo, nelle sue manifestazioni repressive contro le resistenze locali, nei rituali civili che esaltavano l’immagine di un regime che però non riusciva a favorire un benessere anche minimo alle famiglie di coloni e di operai che versavano in condizioni economiche peggiori di quelle che avevano spinto migliaia di persone ad abbandonare la casa per attraversare il Mediterraneo.