Francesco Cargini

Poco si conosce di quanto, nella vita di Francesco Cargini, precede l’emigrazione negli Stati Uniti: il suo epistolario, redatto tra il 1913 e il 1918, e destinato in massima parte alla moglie, Teresa Bernabei, non riporta informazioni sull’anno di nascita e nemmeno sull’esatto luogo di provenienza del mittente. Di lui sappiamo soltanto che era un contadino abruzzese, che a costo di grandi sacrifici aveva deciso di partire, lasciando Teresa prossima al parto. Nemmeno è dato sapere se abbia mai fatto ritorno in Italia.

In America trova soltanto lavori occasionali: operaio in una fabbrica di grammofoni, poi in una di scarpe, quindi in una di materiale bellico; nelle missive a casa si giustifica del non riuscire mai a inviare sufficiente denaro. Ma se da un lato la corrispondenza di Cargini con la moglie illustra una condizione di disagio e inadeguatezza (i debiti contratti prima della partenza sono a lungo il suo cruccio), dall’altro offre un’interessante prospettiva sui rapporti coniugali condizionati dalla distanza dell’esperienza migratoria. In tal senso, sono soprattutto le inferenze intorno al contenuto delle responsive (ne è presente solo una, in minuta), a intrigare.

Il ritardo delle poste amplifica la gelosia della moglie e aumenta la sua insofferenza per la situazione in cui, suo malgrado, è costretta a vivere: sola, con una neonata, controllata dai suoceri. Dall’America le arrivano istruzioni cui fatica ad attenersi supinamente: il marito talora si ritrova a redarguirla e perfino a minacciarla, temendo che lei non assolva ai compiti da lui assegnati. Ciononostante, Teresa continua ad avvantaggiarsi di una separazione che, a causa dello scoppio della Prima guerra mondiale, si prolunga oltre le aspettative.