Mestieri
musicistaLivello di scolarizzazione
diploma di conservatorioPaesi di emigrazione
ArgentinaData di partenza
1950Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
Il mandolino è forse l’unica costante nella vita di Corrado Celada: con quello strumento, che ha sempre amato e che lo ha sempre accompagnato, ha affrontato alcuni dei momenti più difficili della storia del Novecento italiano e mondiale. Soldato del Regio esercito durante la Seconda guerra mondiale, prigioniero dei tedeschi dopo l’8 settembre 1943, viene deportato in Polonia dove, nell’aprile del 1945, viene liberato dai russi. Trasportato in una cittadina al confine con la Lituania, mette su un’orchestrina per intrattenere gli ufficiali dell’Armata Rossa durante le serate. “Nel Settembre dello stesso anno fummo caricati su un treno bestiame con destinazione Italia che raggiungemmo verso la metà di Ottobre. Raggiunsi quindi la mia famiglia che, fortunatamente, non aveva subito nessuna perdita a causa dei bombardamenti; anche mio fratello era tornato dalla prigionia: era stato internato in un lager di Vienna ed aveva sofferto la fame addirittura più di me. Dopo qualche giorno mi recai all’ufficio provinciale del lavoro in cerca di un’occupazione, rassicurato dal fatto che una legge del governo provvisorio aveva disposto che i primi ad aver diritto ad un lavoro sarebbero stati quei reduci che dopo l’8 Settembre non avevano aderito alla Repubblica Sociale, ed io ero tra questi. E’ importante ricordare che quando facevo parte di quell’orchestra di prigionieri dell’Armata Rossa, le autorità sovietiche, affinché noi musicisti fossimo tutti vestiti nello stesso modo, ci avevano fornito di una uniforme di sottotenente dell’Armata Rossa; ed è così abbigliato che io mi recavo ai comizi dei seguaci di Togliatti; spesso in quelle occasioni esprimevo ad alta voce íl mio dissenso su quanto veniva asserito circa i progressi economici e sociali fatti in quell’immenso paese in un trentennio di comunismo. Naturalmente tutti quelli che mi sentivano mi si facevano attorno minacciosi; ma quando vedevano che indossavo quell’uniforme in ogni bottone della quale c’erano la “falce e il martello” e con in bella vista sulla bustina anche la “stella rossa”, allora si allontanavano scotendo la testa e dandomi della “spia del capitalismo clericale” (!!!). Purtroppo il perseverare in questi miei comportamenti mi costrinse a lasciare l’Italia: emigrai in Argentina. Ma io non mi ritenevo un emigrante, piuttosto un esiliato. Infatti dopo sei anni di servizio militare dedicati alla “patria” la stessa mi aveva esiliato perché dissentivo, a guerra conclusa, dal pensiero dominante del periodo. Il Ventennio non aveva insegnato niente. Il periodo trascorso in Argentina mi fece capire cosa significasse realmente essere libero e di cosa significasse veramente il termine ‘patria’”.
Il viaggio
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