Mestieri
impiegata comunaleLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Messico, Guatemala, PerùData di partenza
1981Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Il lungo itinerario di Elvira e Alberto nei Paesi dell’America centrale conosce una tappa significativa: sono in Costa Rica, dove raggiungono un amico di famiglia di Elvira che li aiuta a ambientarsi e a socializzare.
- Josè, Costa Rica, 4 settembre
Cara mamma, eccoci qui in Costa Rica. Siamo arrivati da 8 giorni e già ci siamo sistemati per bene. Ma andiamo per gradi perché ho veramente tante cose da raccontarti e non voglio fare confusione. L’ultima lettera te l’ho scritta dall’isola in Honduras e te l’ho spedita da Tegucigalpa. L’hai ricevuta? Stando sull’isola non potevamo capire il vero spirito dell’Honduras, perché come ti ho detto è abitata da inglesi discendenti dei corsari, ed era quindi un’isola nel vero senso della parola. Invece a Tegucigalpa, dove siamo res:ati 4 giorni, siamo rimasti scioccati dalla miseria nera della gente, dal numero impressionante di persone, bambini compresi, che dormono sui marciapiedi, dalle centinaia di storpi, paralitici, ciechi, persone deformi, che vanno in giro a chiedere l’elemosina. Pensa l’Honduras ha un reddito medio pro-capite annuo di 100 dollari. Quindi puoi immaginare come vivono. Ma no, non si può immaginare se non si vede. Un po’ come Calcttta o Bombay, ma senza quella spiritualità, solo dolore. Al mercato, appollaiati su enormi bidoni della spazzatura, ho visto due avvoltoi, quelli con una specie di collare rosso alla base del collo. Orribili E tanti bambini rovistare fra la spazzatura, nudi. Eppure sarebbe una terra ricca e fertile. Ci sono distese e distese di piantagioni (banane, ananas, caffè) ma tutto è nelle mani della Standard Fruit Company, che è una compagnia americana. Dormivamo in un albergo che era un mezzo casino, nel senso di bordello, e una notte abbiamo sentito (c’era solo una parete di compensato come divisorio) un uomo che faceva l’amore (si fa per dire!) con una prostituta bambina e la riempiva di botte e di cinghiate. Terribile. Siamo partiti per il Nicaragua.
Non ti dico che controlli alla frontiera. Tre ore. Ci hanno chiesto di fargli vedere i dollari che avevamo, se no non ci lasciavano passare. Siamo rimasti due giorni a Managua. La città, fra il terremoto del ’72 e i mitragliamenti di Somoza, quasi non esiste più, solo grandi distese d’erba, qualche palazzo semi-diroccato e qua e là le case che sono rimaste in piedi (è rimasta intatta in Plaza Sandino solo una vasca di pietra con dei piccoli coccodrilli ).Ma lavorano tutti come formiche per ricostruirla e c’è nell’aria una bellissima atmosfera di partecipazione ed entusiasmo. Per pochissimi soldi siamo andati a mangiare nel ristorante dell’hotel più di lusso della città, che ha la forma di una piramide, e ci siamo letteralmente abbuffati. C’era il buffet (!!) e potevamo servirci quante volte volevamo. Mi sono comprata un libro bellissimo sul ruolo della donna rella rivoluzione sandinista. Si chiama ” Todas estamos despiertas ” (Siamo tutte sveglie), è di Margareth Randall, prova a cercarlo da Feltrinelli. Da Managua abbiamo poi preso un comodissimo pullman con toilette e aria condizionata per S. Josè. Siamo arrivati di mattina presto. E’ una città molto bella, piuttosto all’europea, con bei negozi e ristoranti, la gente vestita bene. Si respira aria di benessere, non come lo intendiamo noi, ma è pur sempre benessere rispetto agli altri paesi dell’America Latina e tutti sono gentili. La gente è orgogliosa di vivere in un paese che è come un’oasi di pacenel centro dell’America Latina. C’è una grossa crisi economica e i prezzi, dicono, sono saliti molto, ma per noi sono sempre bassissimi. Si mangia al ristorante con 1500 lire e si può dormire in albergo con altrettanto. Il giorno dopo il nostro arrivo siamo venuti all’Università (ora ti scrivo da lì) a cercare Paquito all’Istituto di filologia. Quasi non mi riconosceva, figurati! Lui è sempre uguale, non è invecchiato per niente, è solo un pochino più magro. Ha detto che non ci potava portare a casa sua perché il figlio si è appena sposato e vive lì con la moglie. Ci ha portato a casa di Dona Carmen, una sua amica e collega “profesora” di storia, che ci ha detto che potevamo stare da lei. Ci ha dato il suo studio, una bella stanza piena di sole, con un terrazzino, un po’ isolata dal resto della casa, e ci troviamo benissimo. Lei vive lì con una figlia adottiva, una nipote, due cani e un pappagallo parlante (davvero!) e tre galline. In casa non c’è quasi mai e noi ci troviamo veramente a nostro agio.
E’ molto gentile e premurosa, un po’ chiacchierona e religiosissima. E’ rimasta un po’ scandalizzata nel sapere che io e Alberto non siamo sposati, ma poi si è abituata all’idea, forse perché noi gliel’abbiamo detto con molta naturalezza e tranquillità. Abbiamo anche conosciuto dona China e 6 dei suoi 10 figli. Ne ha uno di 4 anni, ma è vedova da molto di più (!!). Abbiamo mangiato lì domenica. Paquito ci ha detto che se vogliamo possiamo andare lì tutti i giorni, ma noi non vogliamo disturbare. E’ una famiglia molto simpatica e lei è una donna dolce ed energica nello stesso tempo. Paquito veniamo a trovarlo qui all’università e mangiamo alla mensa. Qui gli studenti sono molto diversi da quelli italiani: tutti perbenino, le ragazze vestite all’ultima moda (la loro!) con i tacchi a spillo. La politica qui è tabù e mi sembrano tutti abbastanza superficiali. Comunque l’ambiente è allegro, l’università bellissima e piena di verde, dopo pranzo ci sdraiamo sempre sul prato. Paquito mi ha detto che non andrà in Italia a causa dell’inflazione. Mi ha domandato molto di te e gli piacerebbe tanto che tu venissi qui a trovarci. Gli ho detto che non è molto probabile, ma che non si può mai dire. Continuo a scriverti da casa, dopo aver mangiato in un self-service vicino all’università. Oggi abbiamo venduto per 240 colones (circa 13000 lire) che qui sono tantissimi. Fra poco andiamo in centro alla posta (chissà se ci sarà la tua lettera) e a ritirare delle foto che abbiamo fatto in Guatemala. Se sono pronte te ne mando una che ho fatto nel giardino di un albergo, C’era uno scimmiotto che si era innamorato di me, mi era salito sulle spalle, mi abbracciava forte forte e mi dava i bacini con lo scrocchio, Alberto è riuscito a fotografarci. Dai negativi ho visto che ci sono 5 0 6 foto bellissime! Mi hai mandato i costumi? E il materiale della mostra di Alberto e i miei certificati? E le mie favole? Pensa che combinazione, c’è proprio un concorso di letteratura per bambini, scade il 15 ottobre e io vorrei partecipare con due o tre favole. Alberto farà le traduzioni e le illustrazioni. I vincitori firmeranno un contratto con una casa editrice che pubblicherà i racconti. Bè, io ci provo. Stasera siamo invitati a cena da un’altra nipote di dona Carmen. E’ il compleanno di Alberto, 26 anni! Tu come stai? Ora che stiamo qui potrò ricevere regolarmente le tue lettere, mi raccomando, scrivimele lunghe lunghe. Scrivimi sempre alla POSTA RESTANTE, perché qui non usano gli indirizzi (!!)ma i punti cardinali, poi ti spiego meglio.
Il viaggio
Mestieri
impiegata comunaleLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Messico, Guatemala, PerùData di partenza
1981Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gli altri racconti di Elvira Bianchi
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