Mestieri
impiegataLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
PerùData di partenza
1947Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Prima tappa dell’avventuroso viaggio intrapreso dalla giovane Rosita con i genitori, nel 1947, da Biella verso il Perù.
Partimmo un mattino d’estate, I vicini e gli zii erano venuti a salutarci. Partimmo per una destinazione ‘ignota’. Del luogo dove andavamo’ non sapevamo nulla di nulla, salvo che il clima era ‘temperato’. A Milano andammo a salutare gli zii e ci sorprese vedere gli effetti di quei bombardamenti che ci avevano tenute sveglie notti e notti. Quante macerie, quanta distruzione. La zia era in ospedale. “Con quello che abbiamo passato, è un miracolo se siamo vivi” disse lo zio. Caricammo sul treno le nostre tre valigie di cartone e partimmo per Roma. Un baule – acquistato dai cugini ‘americani’ della madrina -era stato spedito via mare e sarebbe arrivato a suo tempo. Lenzuola, coperte, vestiti. I libri li avevo regalati. A Roma rimanemmo un paio di giorni, in compagnia del cugino Alfredo e della figlia, che avevano colto l’occasione per una gita. Poi da Ciampino, a bordo di un bimotore, partimmo verso Londra, con scalo tecnico a Marsiglia. Gli aerei non avevano grande autonomia, all’epoca. Erano trabiccoli davvero ridicoli, se paragonati a quelli oggi in servizio. Eppure, ci apparvero magnifici. Era bello essere sopra, e non temere bombardamenti. Peccato per il rumore davvero spaventoso. Arrivammo a Londra che era ormai notte. Frastornati, vedemmo le nostre valigie da emigrante depositate ai nostri piedi. Nessuno intendeva farsi carico di noi: la compagnia con la quale eravamo arrivati fin lì aveva esaurito il suo compito. E quella che ci avrebbe portati a destinazione in un altro continente non si sarebbe fatta viva che due giorni dopo. Due giorni interi da trascorrere a Londra, senza soldi, senza conoscere la lingua, senza sapere dove alloggiare. Tu ti mettesti a piangere e io, che le lacrime le avevo sempre in saccoccia, ti imitai. Eravamo stanche, stordite, affamate e impaurite. Papà, che era stanco quanto noi, stordito e affamato forse anche più di noi, ma che non era per nulla impaurito, si mise a urlare con tutto il fiato che aveva che avrebbe chiamato ‘la police’. Cercarono di farlo tacere ma non ci fu verso. Finalmente uno che parlava italiano fu trovato e questi, contattato il consolato, seppe che alle spalle di quei tre derelitti c’era una società solida che avrebbe garantito il rimborso delle spese. Ci sistemarono in una pensióncina tenuta da una gentilissima signora francese, dopo l’esperimento di una notte sola, la prima, in una pensione inglese, veramente fallimentare in quanto non ci si riusciva ad intendere in modo alcuno, la casa era buia e fredda e l’affittacamere scorbutica ed avara. Per cena ci servì cavolfiori e tè senza zucchero. I segni della guerra erano ancora visibili anche in Inghilterra e si vedeva che neppure loro navigavano nell’oro, come si dice. Dalla gentile signora francese ci trovammo in-vece benissimo. Serviva certe prime colazioni da leccarsi i baffi e, inoltre, ci si poteva intendere piuttosto bene parlando piemontese. Per il pranzo dovevamo vedercela da soli e ce la cavammo piuttosto male, con tutto quel montone, quegli immancabili cavolfiori e il té. Papà borbottava: “Se ci fosse almeno un bicchiere di vino”. Tu, sogghignando, gli dicevi: “Trottolino, mangia e taci”. Giravamo a casaccio, fidando nel tuo senso di orientamento, perchè papà ed io siamo capaci di perderci dietro l’angolo di casa.
Il viaggio
Mestieri
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1947Periodo storico
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