Mestieri
ingegnereLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
GermaniaData di partenza
1957Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)A distanza di alcuni anni dal primo viaggio in Germania, il lavoro porta Carlo Alberto negli Stati Uniti.
Negli anni 70 le esigenze del lavoro mi portarono a ricalcare le orme di Colombo (il navigatore, non il tenente), servendomi come ovvio delle moderne e veloci caravelle dell’ aria.
Per la verità l’America l’avevo già intravista qualche anno prima, in veste di turista “organizzato” (dagli altri), ma non potei certo dire di averla visitata. Anche se non si trattò di una gita-lampo come quella descritta sinteticamente da un trasvolatore frettoloso con la frase: “Vado a Nuova York, Chicago e poi ritorno”. In quell’occasione (prima puntata) avevamo la base a Manhattan, vicino al magnifico Central Park, una delle attrazioni di New York. La quale mi sembrò un enorme formicaio formato dall’insieme di parecchie città diverse, ognuna dotata di vita propria. Capitammo a Little Italy nel giorno di San Gennaro; lì era festa, e festa grande, con tanto di processioni, luminarie, canti e balli. Pareva davvero di essere a Napoli. Facemmo pure una puntata all’Accademia Militare di West Point, passando per la più celebre Sing-Sing, ribattezzata Ossining dagli abitanti stanchi di essere regolarmente sbeffeggiati da tutta l’America. Ci spostammo poi in autobus a Washington, città più vivibile, ove alloggiammo in un hotel di 2000 camere, decisamente troppe. Visitammo doverosamente i principali monumenti, tra i quali la Casa Bianca (solo il pianterreno per non disturbare il Presidente che era di sopra) nonché la tomba di Kennedy, davanti alla quale si arriva col pullman. L’America vera la sbirciai dal finestrino durante il viaggio. In una delle rituali soste di carattere… tecnico ci recammo al bar per farci una birra. Non ce la diedero: a quell’ora, le 16, ne era proibita la vendita. Però, ci fu detto, due chilometri più avanti era possibile averla. “Come mai?” domandammo stupiti. “Perché qui siamo nel Maryland e là in Pennsilvania!” fu la risposta. Scoprimmo infatti che passando dall’uno all’altro degli Stati (Uniti), pur separati unicamente da un cartello, cambiavano parecchie cose, dalle concessioni alcoliche alle divise dei poliziotti ed agli orari dei negozi. A quest’ultimo riguardo notammo con stupore che nelle città alcuni supermarket erano aperti anche la notte, ed erano dotati di “fast food” nonché di farmacia fornita di tutto. Molto comodo. Specie per chi soffriva di insonnia: poteva andare a fare la spesa, e magari comprarsi un panino (o un sonnifero) anziché starsene a rigirarsi penosamente nel letto. A New York ebbi l’opportunità di incontrare un… amico epistolare, col quale avevo organizzato lo scambio di francobolli; la faccenda funzionava da anni con reciproca soddisfazione. Il mio corrispondente venne una sera a prelevarmi in albergo; finalmente potemmo guardarci in faccia. Venni condotto a cena in un ristorante italiano noto a tutti i miei conterranei più celebri, come attestavano le fotografie con dedica: ricordo quelle di Toscanini e di Nino Benvenuti. La proprietaria ci dette appunto il benvenuto in italiano (o quasi) nel suo locale, ove tutto era tricolore, compresa la tovaglia, che recava pure il disegno della nostra amata penisola. Così io… mangiai su Milano e l’altro su Palermo. “Qui tutto italiano!” esclamò compiaciuto l’amico mentre ci sedevamo. “Sì, lo vedo: molto bello” risposi io. Poi mi cadde l’occhio su un grande piatto posto al centro del tavolo: conteneva un cubo di 15 centimetri di lato. “E questo cos’è?” domandai curioso. “Italian cheese, formaggio italiano, il vostro antipasto abituale” fu la risposta. Guardai bene: si trattava di un blocco di Emmenthal svizzero con gli immancabili buchi. Finsi di essere d’accordo ed attaccammo… l’antipasto, che venne demolito in buona parte, soprattutto ad opera dell’americano. Venne quindi servito il classico piatto di spaghetti al pomodoro; e meno male! Terza portata: un mucchio di insalata con sopra un enorme polpettone piatto, a me del tutto sconosciuto, che mi dissero chiamarsi Hamburger nel gergo locale. Il vino venne gabellato per Chianti classico; e qualche pur vaga somiglianza la si poteva anche trovare. Arrivò poi un gelato di proporzioni giganti ed infine un espresso… prolungato. Passammo così una simpatica serata fuori programma. La cena era stata super sotto l’aspetto quantitativo (io avevo dovuto astenermi parecchio), ma non proprio tutta italiana, come l’amico fermamente riteneva. Fu in questa occasione che mi sentii rivolgere la strana domanda: “In confidenza, lei è italiano o siciliano?”. Feci del mio meglio per illuminare il mio interlocutore sulla ultrasecolare unità del nostro Paese. Egli annuì cortesemente, anche se non apparve molto convinto delle mie argomentazioni: ricordava che suo padre gli aveva mostrato da ragazzo una illustrazione che mostrava appunto le fotografie di un italiano e di un siciliano; i loro caratteri somatici apparivano del tutto diversi.
Il viaggio
Mestieri
ingegnereLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
GermaniaData di partenza
1957Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Carlo Alberto Bettega
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