Mestieri
commessoLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gennaio 1937. La guerra tra Italia e Etiopia è finita da mesi, con la sconfitta dell’Impero africano e la proclamazione di quello fascista. Il radiotelegrafista Pasquinelli, come gran parte dei commilitoni, sperava di rientrare in Italia al termine delle ostilità. Invece deve presidiare il territorio, occuparlo militarmente, anche per tenere sotto controllo la resistenza tutt’altro che piegata degli etiopi. Durante gli spostamenti i soldati italiani temono agguati, soprattutto quando attraversano le boscaglie. E in questa pagina Pasquinelli descrive bene lo stato d’animo di perenne apprensione in cui vivono le truppe in un territorio dove non sono gradite.
24 gennaio 1937, Iavello
Ore 9 partiamo diretti ad Agheremariàm ove arriviamo alle 17. La regione attraversata è fertilissima, vegetazione d’ogni specie ovunque. Circa a metà percorso attraversiamo un bosco denominato Aratri, è una vera e propria foresta vergine: per una pista tagliata attraverso esso, sono occorse diverse ore per attraversarlo. Ci sono piante alte fino a trenta metri e con un diametro di quattro. E’ una selva di tronchi mezzi sepolti dalla bassa vegetazione e grosse liane che attraversano gli spazi fra un tronco e l’altro fino alla cima. Insomma, è un groviglio di vegetazione nel sotto bosco che scommetto ci resterebbe impigliato un carro armato come una mosca nella tela del ragno. Alla sommità dei tronchi le chiome sono tanto grandi che si intrecciano l’una coll’altra e così folte da formare un tetto sopra di noi, tanto che nel sotto bosco non arriva mai la luce del sole, pure dove è tagliato che ci corre la pista. In certi tratti si entra in un tunnel di verde, a metà della traversata del bosco c’è una grande radura, qui ci fermiamo per mangiare un boccone, tanto più che ci scorre un ruscello d’acqua e sopra di noi, pure qui, è una cupola di verde. La foresta è piena di rumori misteriosi e vi dico la verità, mette un certo brivido: uccelli che strillano, svolazzano, scimmie che saltano da un ramo all’altro si nascondono per poi mettere fuori la testa e guardarci con quegli occhietti vispi e furbi. Appena fate un movimento li vedete saltar via strillando e in pochi secondi scompaiono per poi ricomparire per curiosare, animali che non vedi e che però senti strisciare, il terreno è ricoperto di uno spessissimo tappeto di foglie morte, così che non sapete mai dove mettere i piedi e dove guardare. Si, perché i serpenti oltre che strisciare nel sottobosco sono pure arrotolati sui rami degli alberi, perciò temi sempre di mettere i piedi su qualcuno di questi rettili o che ti piovano sul collo da qualche albero, tanto più che, con la mezza penombra che regna nel sottobosco, non è facile vederli per terra_ perché è ricoperto di foglie morte e se esso sta fermo te ne accorgi solo quando gli metti i piedi sopra e te lo senti arrotolare addosso; per aria lo confondi con la vegetazione, tanti rami si scambiano per autentici serpenti; inoltre regna molta umidità nel sottobosco causa che non ci arriva mai il sole e perciò al suolo tutto marcisce. Mentre stiamo mangiando, arriva fino a noi un cupo rullare di tamburo: non so spiegarvi come si rimane e cosa si prova in simili momenti. Immaginate, pochi uomini isolati da tutto il mondo civile che si trovano in una foresta ove mille pericoli naturali li circonda, ad un tratto tutti i rumori della foresta tacciono, perché un invisibile quanto misterioso tam-tam s’è messo a rullare, che sarà? Che vuol dire? Mentre ascoltate e girate lo sguardo atterrito attorno, dalla foresta vedete apparire come sorgessero da sotto terra indigeni, che per vestito hanno una pelle, con una lancia che stringono in pugno e lo scudo di cuoio per difesa. Prima uno, poi due, tre, quattro, dieci… a decine che escono dal bosco per venire verso noi da ogni lato; siamo circondati, e quel tam-tam che non smette, con quei colpi cupi che vi eccita i nervi, si sente un brivido per la schiena e rimanete lì come annichiliti. Quello che più vi mette fuori combattimento prima del tempo è che non sapete con quanti avete a che fare, però quei loro movimenti furtivi sono di paura, il bello è che impauriti siamo entrambi, noi perché un po’ è l’ambiente che suggestiona ma più di tutto perché siamo solo venti e senza possibilità di avere aiuti, loro perché temono noi che siamo armati di armi da fuoco mentre loro intenzione non è di assalirci, ma vengono a venderci pelli, di animali da loro uccisi.
25 gennaio 1937, Agheremàriam Stamane partiamo alle otto diretti a Dilla, ove giungiamo alle 17. Il tragitto è stato una montagna russa, tutte salite e discese: siamo saliti fino ai duemila metri e da una di queste cime alla nostra sinistra, abbiamo visto il lago Stefania; in questa tappa abbiamo incontrato abissini a migliaia, ciò che non abbiamo notato in altri posti. Inoltre, uscendo dalla boscaglia, su una radura, ci siamo incontrati con una ventina di armati abissini: richiesti del permesso di circolazione, lo mostrano, ma non è rilasciato da nessuno. Allora, per prudenza, tagliamo la corda perché dalla boscaglia viene un coro di voci di centinaia di persone che sembrano facciano la “fantasia” e se sono tutta una banda stiamo freschi! Da un’autoblinda sforacchiata dai proiettili e bruciata abbiamo
Il viaggio
Mestieri
commessoLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Olimpio Pasquinelli
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