Paesi di emigrazione
GreciaData di partenza
1941Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
guerraTemi
guerraMarzo 1941, e in corso la Seconda guerra mondiale e la campagna militare italiana in Grecia. Mentre naviga verso l’Isola di Creta, la squadra navale della regia marina di cui fa parte Giovanni Baleffi viene attaccata dalla marina inglese. È in corso la battaglia di Capo Matapan.
Erano già ventiquattro ore che non chiudevo occhio e quell’oretta volevo dormirmela, se si può chiamare dormire stando seduti in terra con la testa appoggiata sulle proprie ginocchia; ma tanta era la stanchezza che a noi bastava anche stare in quella posizione. Non erano neanche cinque minuti che mi trovavo così che il signor Ferrari si gettò dentro la torretta urlando come un forsennato: all’armi! All’armi. In un attimo si fu tutti in piedi, io mi misi subito la cuffia in testa, agguantai la leva dei comandi, per dare alle torri il seguite gli indici elettrici, nello stesso istante una bordata nemica da trecentottantuno ci prese in pieno. Descrivere l’arrivo di un obice di quella portata a bordo, spiegare il cozzo dell’acciaio contro l’acciaio, è impossibile; ho ancora qua nell’orecchio quel tremendo rumore, la corazza d’acciaio che si spezza, si contorce e va in mille pezzi. La forza elettrica sparì d’un colpo, un proiettile era entrato giù in macchina, fermando dinamo e tutto. Fuori della torretta vedevo una gran luce, udivo distintamente le grida dei feriti che si lamentavano. Un altro proiettile aveva preso in pieno la torre uno portandola in un sol colpo a mare; solo le canne erano rimaste ciondoloni sul castello. Ora, considerando che una torre da duecentotre oltre che a pesare delle tonnellate e avere dentro una trentina di persone, e avere una discreta corazza, sia stata spazzata come da un colpo di vento, ti fa immaginare la potenza di questi proiettili dal peso di più di novecento chili, sparati da appena duemila metri. Dentro avevo due intimi amici fiorentini uno era Mori, il puntatore della torre stessa, morto di sicuro; l’altro era Vannucchi per il quale c’erano più speranze dato che si trovava in fondo alla torre; ma anche di lui a dieci mesi di distanza non so più niente. Intanto dentro la torretta cominciava a nascere un poco di confusione, l’apparecchio di punteria che fin dal primo colpo s’era tutto contorto non girava più. Bisognava comandare il tiro autonomo, ma con la mancanza di corrente il trasmettitore di ordini non funzionava, per di più le torri senza la forza elettrica dovevano mettere in moto le diesel dinamo. Una diesel dinamo, cioè quella di prora, si trovava in torre uno la quale non esisteva più, quindi tutto inutilizzabile il gruppo di poppa non so perché non abbia funzionato. In questo frattempo i colpi seguitavano ad arrivare portando ovunque morte. Il signor Ferrari ci diede l’ordine di indossare i salvagenti. Quanti pensieri in quegli attimi, tutto mi sfilava davanti alla mente, ormai capivo che la nostra fine era decretata, da un momento all’altro facevo il conto di saltare in aria. Mamma, babbo, fratello, la mia Marcella, tuttí salutavo con il mio cuore, erano attimi, attimi che volavano, ma i miei pensieri correvano più di quegli atroci istanti. Addio cara mammina, addio famiglia, addio bimba del mio cuore che il destino ti aveva messo al mio fianco per essermi compagna in questa vita. È tremendo capire di dovere morire; l’atrocità di quei momenti non si può definire: bisogna averli vissuti come li ho vissuti io e miei compagni di bordo.
Il viaggio
Paesi di emigrazione
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