Mestieri
imprenditoreLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1943Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Dopo una fuga difficoltosa, che prevede il passaggio del confine italo-svizzero al passo di Zocca, in Valtellina, quasi a 3000 metri di altitudine, Bassano e il suo compagno di fuga, Giovanni, trovano una buona accoglienza a Vicosoprano.
25 settembre 1943
Mi sveglio alle 3.30 dopo una salutare dormita abbastanza calma, ci rechiamo nella casa della guida e decidiamo di partire verso le 5 essendo ancora notte profonda ed avendo la lampada elettrica con poca autonomia di luce -Partiamo dunque alle cinque meno un quarto e ci avviamo nella Val di Mello. I sacchi da montagna ce li portano la guida ed un ragazzotto di 18 anni figlio di una guida famosa e che fila lesto come un capriolo. Verso le 6.30, dopo breve sosta nella vallata, appare pigramente il giorno. Il cielo è coperto e speriamo che il valico sia possibile senza gravi difficoltà del maltempo. Abbandoniamo il sentiero pianeggiante quasi subito ed affrontiamo la rapida salita – alle 10.30 arriviamo alla Capanna Allievi (m. 2.400) Quasi 1500 m. di dislivello sono stati superati in meno di 6 ore. Forziamo la porta del rifugio perchè il tempo si è messo decisamente brutto: piove e fa un freddo cane. Decidiamo di attendere qui qualche ora nella speranza che il tempo ci permetta di continuare e si mangia un boccone. In questo frattempo scrivo qualche lettera perchè la guida, al ritorno, le recapiti a destinazione. Mi prende una viva commozione quando accenno ai miei famigliari che sto lasciando la Patria, pensando che per mia conseguenza dovranno forse subire chissà quali angherie. Sala si accorge del mio stato d’animo e commosso mi fa coraggio. Chiudo le lettere e le affido alla guida, raccomandando di portarle all’indirizzo segnato. Il tempo è intanto migliorato e si decide di proseguire subito. Il passo della Zocca che abbiamo di fronte è a m. 2.900 è ancora tutto avvolto in neri nuvoloni che si rincorrono – tutt’intorno un cielo cupo copre le cime – Affrontiamo l’erta ripidissima il cui fondo è formato da grossi massi alla base e da altri più piccoli man mano si sale, i quali, staccatisi dalle rocce vicine, non offrono appigli completamente sicuri. Si marcia in fila indiana avvicinati per evitare il pericolo di essere investiti dai sassi eventualmente smossi dal capofila e dagli altri. Il passo è raggiunto alle 13.30 ed è il confine fra Italia e Svizzera. Fa sempre molto freddo. Io e Sala ci voltiamo per un rapido saluto alla Patria che abbandoniamo e ci guardiamo un attimo commossi. Le guide ci accompagnano ancora per la breve ma ripidissima discesa alquanto pericolosa per i crepacci profondi che scorgiamo appena ai lati e termina con l’inizio di un immenso ghiacciaio. A questo punto ci lasciano dandoci precise indicazioni sulla pista da seguire; un ultimo e cordiale saluto e ci avviamo noi sul ghiacciaio ed essi sulla via del ritorno. La pista che inizialmente era evidente, scompare dopo dieci minuti di marcia. Cominciano i guai: gli scarponi con suola di gomma mal ci reggono sopra l’irregolare distesa di ghiaccio. Diverse cadute sono inevitabili, fortunatamente con conseguenze insignificanti. Nella lusinga di camminare meglio sulla morena ci spostiamo sulla destra contrariamente alle istruzioni della guida: enormi crepacci ci sbarrano ripetutamente il cammino e dobbiamo ritornare sui nostri passi; altre cadute e ci spostiamo più a sinistra. Da questo lato i crepacci, pur essendo molto frequenti, sono più facilmente aggirabili ed anzi qualcuno lo saltiamo aiutandoci a vicenda. Il buon Sala comincia a lamentare forti dolori alle ginocchia: lo incoraggio un po’ con le buone e qualche volta in modo brusco, perchè anch’io, pur sentendomi fisicamente a posto, non vedo il momento che termini questa sfibrante marcia così infida: infatti da oltre un’ora camminiamo soli (e per la prima volta) sul ghiacciaio, senza adeguata attrezzatura e non ne vediamo ancora la fine. Evitiamo di camminare nella zona dove il ghiaccio ha una tinta leggermente bluastra e sotto il quale si sente il gorgoglio dell’acqua: da un momento all’altro si potrebbe sprofondare in qualche crepaccio. Intanto il tempo si fa minaccioso e sono vivamente preoccupato di essere sorpreso dalla tormenta in questa zona pericolosa.
Dopo due ore di marcia ci spostiamo sulla morena di sinistra: enormi e numerosi massi appoggiati sul ghiaccio ricoperto di terriccio: saltando da un masso all’altro, dopo un’altra ora di faticoso cammino si giunge alla fine del ghiacciaio. Mi volto verso il percorso fatto e confesso fra me che non ripeterei un’altra volta questa massacrante marcia. Sala si lamenta continuamente dei dolori alle ginocchia e la marcia deve forzatamente rallentare. Intanto comincia a piovere a dirotto. Ora dobbiamo attraversare il fondo di un bacino sbarrato a valle da un’altra diga: il terreno è molle e quasi paludoso. Decine di torrentelli creati dall’imperversare del maltempo si gettano a picco, da centinaia di metri d’altezza, dalle circostanti pareti verticali delle montagne ed io incoraggio il mio compagno ad affrettare la marcia per evitare che il livello dell’acqua salga. Il buon Giovanni che intuisce la situazione accelera il passo e sprofondandoci ogni tanto fino a mezza gamba arriviamo sul terreno sodo. Piove sempre disperatamente e comincio a sentirmi completamente inzuppato. Un limitato sguardo panoramico al fondo valle non ci permette di vedere alcun paese. Giudico che dovremo percorrere almeno almeno 1500 m. di dislivello e scorgo un sentiero sulla sinistra che dovrebbe essere quello giusto. Il mio compagno deve fare uno sforzo di volontà eccezionale per superare il dolore delle ginocchia, e lo spasimo lo si vede evidente sui muscoli del viso. Dopo due ore di discesa fra le abetaie giungiamo a Vico Soprano, primo paese Svizzero. La prima meta è finalmente raggiunta. Sono le 18.30: un signore, al quale mi rivolgo per chiedere del locale comando militare ci accompagna gentilmente al posto e qui le Guardie ci accolgono con calda simpatia. Ci svestiamo completamente vicino ad una provvida stufa e ci asciughiamo alla meglio. Tutto il contenuto del sacco è completamente inzuppato e devo quindi attendere che qualcosa asciughi. I soldati svizzeri ci portano qualche camicia offerta dai civili per noi – poi un buon rancio caldo e pane e formaggio in abbondanza – Questa prima accoglienza ci commuove veramente e li ringraziamo. Parlano una lingua, il romancio, che comprendiamo benissimo essendo come il dialetto lombardo. Solo qualcuno parla tedesco. Mezzora dopo il nos. arrivo sopraggiungono altri quattro fuggiaschi che hanno percorso il nos. cammino stesso; uno di essi è un Ufficiale che trovasi sfinito e febbricitante – Sono riconosciuto da uno di questi: è un mio ex operaio di Ardenno, Barona Siro, commilitone di mio fratello Luigi e ci assicuriamo buona compagnia in seguito. Ci sdraiamo sul pavimento di legno coperto di paglia e senza coperte perchè anche i soldati svizzeri non ne hanno disponibilità; ringrazio Iddio di avermi protetto in questa dura giornata e col pensiero rivolto ai miei famigliari ed al mio Luigi che spero al sicuro, cerco di prender sonno.
Il viaggio
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