Paesi di emigrazione
Alaska (Stati Uniti d'America)Data di partenza
1990Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Il viaggio di Martinelli verso il cuore dell’Alaska, in compagnia di un amico e del suo diario, prosegue lentamente permettendogli di assaporare ogni aspetto della bellezza e della diversità del Paesaggio che si ritrova di fronte.
A bordo un piccolo angolo della nave è adibito a museo naturale dell’Alaska, con informazioni sui vari tipi di piante, animali, clima, e tanti fiorì chiusi in barattoli di vetro istoriati dallo straripante didascalismo yankee. Poco più in là il salone, dove tutte le mattine alle 10 un ranger e sua moglie ci rendono edotti sulla rotta che stiamo seguendo, il cosiddetto inside passage, e sulla storia dell’Alaska, per poi soffermarsi sulle città che incontreremo durante la giornata, cioè Wrangell e Petersburg, piccoli grappoli di case di 500 abitanti che vivono di pesca, appoggiate nel punto più protetto dell’isola su cui si trovano.
A Petersburg, abitata in maggioranza dai discendenti di immigrati norvegesi, scendiamo per fare due passi. Fa molto caldo su quest’isola circondata dall’oceano e poi subito dopo da altre isole. La bassa marea, come in un lago periodicamente svuotato per esigenze idroelettriche, disegna lunghe striature parallele sulla riva, sempre più vicine man mano che si avvicinano al pelo dell’acqua; in lontananza, appena oltre le spiaggie, nascoste dagli alberi dei boschi, le cabins del Forest, Service: sono casotti senza luce né acqua né gas, che possono essere affittati settimanalmente da chi vuole isolarsi totalmente dal mondo. Ne ho visti diversi nel mio viaggio. In genere sono vicini a un torrente, a un lago e al mare, si possono raggiungere esclusivamente a piedi, quando non in aereo, e portandosi dietro tutte le provviste necessarie per il soggiorno. Dopodiché si passa una settimana a completo contatto con la natura, separati dalla wildlife solo dal tetto e dalle quattro pareti in legno. Verso sera l’aria si rinfresca e comincia a piovigginare. Il ranger ha parlato di un tour di Sitka, visto che l’attracco si protrarrà per 3 ore, ma non riesco proprio a immaginarmi cosa si possa vedere, sotto la pioggia e al buio, alle due di notte.
In ogni caso evito di andare a letto, tanto dovrei alzarmi dopo pochissimo, e mi vado a piazzare allo snack-bar della nave dove comincio a scrivere, anche se un pò in ritardo, queste poche righe che un giorno saranno di qualcuno.
Scesi dalla nave ci fanno salire su 3 school-bus, quelli gialli tutto finestrini e sedili durissimi. La ragazza al volante ci racconta morte, vita e miracoli di Sitka, cí parla delle sue origine russe, del fatto che è l’unica città da noi toccata che si affaccia direttamente sul Pacifico, dei suoi abitanti, mentre guida per le strade vuote e illuminate della città. Ma in poco tempo prevale in noi la stanchezza e la voce della ragazza diventa querula, le sue annotazioni logorroiche. Probabilmente a bordo c’è il suo boss, altrimenti non si spiegherebbe perché non smette di parlare per un minuto. Passiamo per la zona industriale, visitiamo una piccola cattedrale ortodossa con il pope che ci apre la porta più insonnolito di noi, e infine il museo cittadino davanti al quale è aperto, per l’occasione, il solito negozio di cianfrusaglie.
E’ ancora buio, e piove ancora, mentre ci riportano sul ferry. La prossima tappa è Juneau, e domattina alle 10 finalmente metteremo piede stabilmente a terra.
Il viaggio
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