Africa amore e odio

L’Africa,… chissà, mia madre non condivideva il mito del Continente nero, del mal d’Africa. Per lei era stata un incubo fin dal viaggio sul «mare nostrum» tempestoso, per non parlare dello sbarco… che avveniva con la nave alla fonda e i passeggeri giù con le gru, in un sacco di resistentissima tela, caricati su di una chiatta, la «maona». Per arrivare a remi a terra. Bengasi era una piacevole cittadina tranquilla; l’Africa, per il Governo Fascista, il «posto al sole», il prestigio, l’Impero: mentre per i grandi blocchi di potere, una possibile minaccia. La guerra era necessaria per la nostra espansione, e anche se rimaneva la più grande speculazione per l’economia mondiale, veniva boicottata dalle collaudate potenze imperialistiche. Da noi era promossa da una massiccia campagna propagandistica che esaltava l’amor patrio e il nazionalismo. Mio padre era da collocarsi tra coloro che credevano nella nuova oligarchia, in Mussolini, e nella logica della forza. Giovane, bello, audace, giornalista di successo, in Africa, si sentiva realizzato, mentre mia madre di natura riservata, non condivideva quegli entusiasmi, detestava la vita di colonia con tutti i suoi rituali, le piaceva invece, andare qualche volta a passeggio per Bengasi in carrozza indossando, malgrado il caldo, i completini confezionati a Milano dalle sorelle E e M., e i cappellini a cranio calati sugli occhi, dai quali usciva il «tirabaci» che certamente non riparavano dal sole.