Mestieri
export managerLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Algeria, Siria e IraqPeriodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Estate 1980. Rosario Simone ha superato da poco gli esami di maturità. Il viaggio con cui ha scelto di premiarsi è fuori dalle rotte turistiche tradizionali. È da poco arrivato in Algeria per scoprire un mondo, quello arabo, che resterà al centro della sua vita negli anni a venire. L’accoglienza che riceve ad Annaba lo fa sentire subito a casa.
Entrammo in Algeria la sera del 28 luglio del 1980. A Suk Ahras salirono anche i doganieri algerini e noi avevamo già nascosto nelle mutande quei soldi che avevamo deciso di non dichiarare. Quei doganieri erano veramente dei lerci nei fatti e nei modi. Luigi si innervosì molto, ma dopo aver superato quell’esame non facemmo che riposare, mangiare e guardare attraverso i finestrini. Dell’antica Tagaste che aveva dato i natali a Sant’Agostino neppure l’ombra. Con Luigi avevo stretto amicizia la primavera precedente. Io frequentavo il terzo liceo classico e lui il secondo. Avevamo tutti e due i capelli lunghi, a Pasqua eravamo andati in autostop a Roma e a luglio, due giorni dopo i miei esami di maturità, avevamo deciso di andare a Pistoia Blues, sempre in autostop. Mi ero divertito a viaggiare con lui ed insieme avevamo deciso di fare questo viaggio nel Nord Africa, ma eravamo diversi di carattere e naturalmente le differenze si acuirono con il procedere del viaggio ed il protrarsi della convivenza. Arrivammo ad Annaba, Algeria, con sei ore di ritardo, in piena notte. La città, interamente illuminata, era attraversata da bande impazzite di ragazzini che cantavano a squarciagola e che sembravano felici per qualche evento a noi sconosciuto. Quella sera per la prima volta avevo udito la parola Ramadan. La gente si godeva la digestione e il fresco della sera subito dopo l’iftàr, l’interruzione del digiuno rituale che coincide col tramonto. Si coglieva nell’aria, in ogni angolo della città, una specie di euforia collettiva per noi difficile da capire e impossibile da condividere. Per quanto mi riguardava ero anche troppo acerbo per condividerla. Per me tutto faceva parte di un mondo nuovo, parole, suoni gutturali completamente inediti, situazioni di tutt’altro tipo rispetto a quelle sperimentate fino ad allora. Mi venne da subito una’irrefrenabile desiderio di poter essere padrone di quei suoni, e di poter comunicare, capire. Soffrivo di una sorta di impotenza comunicativa colmata solo in parte dall’uso di un pessimo francese che mi lasciava perennemente insoddisfatto. Un desiderio crescente che culminò con l’iscrizione all’Orientale di Napoli, un paio di mesi dopo.
La città che vidi io era anonima, spesso sporca, e un discreto viale centrale con numerosi caffè aperti e i tavolini fuori molto frequentati dalla gente mi sembrò il luogo più bello. Non avevamo dinari algerini e non sapevamo dove andare a dormire. Io però avevo due stecche di marlboro comprate nel duty free shop della nave della Tirrenia e non vedevo l’ora di trovare un acquirente che ci desse un po’ di valuta locale in modo da non cambiare i nostri pochissimi soldi ad un cambio ufficiale che sapevamo assai sfavorevole. Se non ricordo male doveva essere vietato vendere per strada delle sigarette straniere e quindi ci eravamo piazzati in uno dei caffè più centrali di Annaba cominciando a mettere in moto una sorta di tam-tam per riuscire a vendere la nostra mercanzia pregiata. In effetti con questo metodo avevamo subito trovato numerosi possibili compratori ma la cifra che chiedevamo era eccessiva. Ad un certo punto dei ragazzi seduti ad un tavolo vicino al nostro ci avevano presi in simpatia ed invitati al loro tavolo. In tutto il caffè non c’era ormai un solo avventore che non sapesse che cercavamo di vendere ‘ste di marlboro ed in effetti noi sicuramente non eravamo ancora abbastanza discreti per il mondo arabo. Uno di loro mi disse: “Ascoltami Paolo Rossi!.. A noi giovani piacciono molto le marlboro: non siamo come i vecchi che non cambiano le loro Hoggar con nessun tabacco al mondo. Ma quello che voi chiedete è troppo caro per noi. Se vuoi un consiglio ti conviene andare al posto telefonico pubblico, a due isolati da qui. Lì ci sono sempre un sacco di stranieri e qualcuno sicuramente ve le comprerà. Dai! Fate presto che noi vi aspettiamo qua!” E così alla SIP algerina avevo potuto sperimentare appieno il concetto di convenienza reciproca. Avevo trovato subito un tecnico di Taranto che aspettava il suo turno per telefonare in Italia. Il dialogo preliminare fra di noi fu brevissimo e andò pressappoco così. “Scusa, per caso sei italiano? Si, perché si vede? E voi siete italiani? Che ci fate in questo posto? Turismo. Turismo? Ma siete pazzi? Con tutti i bei posti che ci sono al mondo voi venite in vacanza qua. Roba da matti! Senti, ho due stecche di marlboro da vendere. A te possono interessare? Se mi interessano! Non ne posso più di fumare ‘sta merda di Hoggar. Diecimila lire alla stecca va bene? Benissimo! Ora vi dico dove potere cambiare al nero ad una rata molto vantaggiosa…!” Che tipaccio il tarantino… Presto ritornammo dai nostri amici algerini che ci aspettavano al caffè e con loro trascorremmo ancora un paio d’ore discorrendo del più e del meno ma soprattutto di calcio. Parlavo sempre io nel mio francese praticamente inventato perché Luigi, che parlava un discreto francese, di calcio non sapeva niente.
Quando un po’ tutti cominciarono a sbadigliare uno dei ragazzi ci chiese dove andavamo a dormire. Noi dicemmo che non lo sapevamo e che anzi ci avrebbe fatto piacere se ci avessero indicato un albergo a bon marché. Ci risposero che non ne conoscevano uno più bon marché di casa loro e così ci incamminammo tutti verso la periferia di Annaba. Man mano che ci allontanavamo dal centro città le strade si facevano sempre meno frequentate e meno illuminate. Avevo cominciato a temere che fosse un espediente per fregarci i nostri pesantissimi zaini e soprattutto temevo per i soldi. L’apprensione arrivò alle stelle quando giungemmo davanti ad una squallidissima palazzina versione di gran lunga più sgarrupata delle peggiori case popolari dei quartieri periferici baresi. Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro o anche per inventare una scusa. Salimmo due rampe di scale…. l’interno dell’appartamento era molto dignitoso e pulito. Chiacchierammo ancora un po’ prima di sistemare dei materassi alla meglio nelle varie stanze e dormimmo di gusto dopo il rito serale del portafogli nelle mutande. Il mattino ci sorprese caldissimo. Appena demmo i primi cenni di risveglio i ragazzi prepararono un tè e delle uova al tegamino. Erano proprio dei bravi cristi. Mi accorsi subito che c’erano solo due colazioni sul tavolo mentre in tutto eravamo cinque o sei ragazzi. “Ma avete preparato solo per noi?” Il tipo più simpatico di loro fece cenno di si e contemporaneamente si toccò il petto con la mano destra e disse sorridendo: “Ramadan!” Loro rispettavano il digiuno ma per dovere di ospitalità avevano preparato da mangiare soltanto per noi.
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