Paesi di emigrazione
SpagnaData di partenza
1980Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Il viaggio di Antonio si sta per concludere, ma l’ultima meraviglia e l’ultima introspezione non possono che essere ispirati dal monumento emblema della regione spagnola.
Granada si presentò all’improvviso, con due giorni d’anticipo. Avenida del Almirante Carrero Blanco. Il cerchio del tramonto veniva sopraffatto dalle luci intermittenti dei semafori. Palazzi moderni, traffico, suoni e rumori, gente in moto perpetuo. Avenida de Calvo Sotelo. Altre luci. M’accodai ad un gruppo di persone, al verde attraversammo la strada. Svoltai a destra in Calle San Juan de Dios.
Senza sogni camminavo nella sera (senza sogni) e mi fermarono gli occhi neri e tristi d’una fanciulla. Senza sogni era la sera (senza sogni) adagiata sul sorriso dolce d’una fanciulla.
Entrai nella pensione senza alcun entusiasmo; mi diressi al banco. Il signore in abito chiaro scostò appena gli occhi: … habitación double quinientas pesetas … solo para esta noche. Consegnatami la chiave salii al terzo piano, mi diressi verso un angolo del pianerottolo, aprii una porticina bassa. Il fatto che avessi una chiave creò una differenza tra una stanza ed una cella: la finestra era piuttosto alta e s’apriva direttamente sulla rampa interna delle scale, due letti, un piccolo lavabo, un tavolino, credo. Rumore di tubature e scarichi. E finale con possibile suicidio. Il cuore ebbe una smorfia di dolore, i pensieri si rincorsero sui muri pieni di angoscia. Spensi la luce e mi salvai nel sonno.
M’inerpicai per la stretta contrada d’un sogno, muri distorti e scale sconnesse mi condussero nell’alto d’una torre.
Giù, la mia pena si celava a stento nella città buia, e una pioggerella tranquilla rigava la luna. Una campana sussurrò due rintocchi, nel piccolo stagno un fiore cieco custodiva il mio cuore sotto l’ombra bianca d’un cipresso.
Il mattino giunse al di là di tutto. Una città diversa aprì le finestre al nuovo giorno. Una pagina bianca, patinata. Un nome seguito da un breve testo, e la prima immagine. Varcai il portale: gli alberi si strinsero in un grande abbraccio escludendo il sole. Altre siepi limitarono il viale. Altri scalini e altri viali. Alhambra: torri e mura massicce e imponenti, impassibili osservatrici sulla foschia dell’orizzonte; ma nonostante l’ostentata indifferenza anch’esse, come gli altri palazzi, avevano intimamente ceduto a passioni e sentimenti. E l’uomo era intervenuto con mano geniale trasformando le insignificanti superfici in preziosissimi intrecci di stelle, fragili e delicati intarsi, sottili sospensioni di luce. Poi l’uomo continuò per proprio conto in-ventando minuscoli giardini abbelliti con geometrie di siepi, stagni, fontane e canaletti. Unì i nomi delle più belle rose a quelli di gerani e ninfee. Ma insoddisfatto si estese a spazi più ampi, aprendo le terrazze del Generalife, ideando angoli di riservata solitudine e intimità punteggiati di cipressi.
Dietro un muro dell’Albayzín sei corde di chitarra ferirono uno stanco pomeriggio di sole.
Nel cielo il sole abbandonò la sua immobile forma e si morse le labbra. Dietro un muro dell’Albayzín delirarono i cipressi per il suono di una sola chitarra.
L’Albayzín comprendeva una doppia pagina centrale senza scritte. Casine bianche accatastate l’una sull’altra, balconcini stipati di fiori, cortiletti e giardini ombreggiati di cipressi e palme, agavi e fichi d’India. Gli arabi sono andati, e con loro le leggende. Le moschee sono state chiuse lasciando posto alle croci e ad altre preghiere. Nuovi uomini sono venuti portando con sé i propri figli e le proprie mogli. Nuove voci fanno eco alle più antiche. Ora si vendono souvenirs e cartoline, barattoli e scatolame. Il passato si allontana a grandi passi, a volte correndo. Malinconia e tristezza. In una piazza c’è un Cristo di pietra col naso ammaccato e un garofano di plastica.
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