Mestieri
pittoreLivello di scolarizzazione
diploma scuola media inferiorePaesi di emigrazione
Brasile, ArgentinaData di partenza
1923Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
paesaggioTemi
paesaggioUn’immersione nel quartiere della Boca, a Buenos Aires, in compagnia del pittore Mario Bacchelli, emigrato nel 1923
Andavo a Buenos Aires, riscoprivo la città. Chi mi condusse per primo alla Boca ? M’avevan parlato di quel quartiere dove le case son costruite con pareti di lamiere ondulate, dove si parla genovese, dove altissimi ponti di ferro attraversano il canale, el Riachuelo, in cui s’inoltrano i grandi mercantili: di quel quartiere di marinai, di traffici, di cantieri e di malavita, dove è nato il tango e dove si lavora, si beve, si balla, si fa alle coltellate. Ci andai, e per mesi dovetti tornarci quasi giornalmente, tanti erano i motivi che il canale, le isole, i ponti e le strade offrivano alla mia pittura. Non ci trovai né tango né coltellate, ma una popolazione lavoratrice e robusta, innamorata del suo barrio (o quartiere) che non ha uguali al mondo, con le case di lamiera zincata che luccicano al sole, la Isla Maciel che brulica di ragazzi sugli spiazzi erbosi tra i cantieri, i magazzini, i ponti sospeso coi loro tralicci aerei di ferri intrecciati, l’andirivieni instancabile di barche, barconi, chiatte, vaporetti e motoscafi. Divenni, come ho detto, cittadino adottivo della repubblica della Boca; e un giorno che per onorare un pittore nato là trovatello, allevato da poveri e generosi italiani, fattosi da sé e impostosi nel mondo col proprio lavo-ro, venne dato un banchetto grandioso al quale fu invitato “il Presidente della vicina e amica Repubblica Argentina”, anch’io fui della partita. Il presidente della Repubblica era allora Marcello Alvear, gentiluomo a cui piaceva dedicare parte del suo tempo agli artisti, tanto che non mancò di visitar le due mostre personali che apersi a Buenos Aires nei due ultimi anni della mia permanenza laggiù. Ambasciatore d’Italia era Martin Franklin, e ogni tanto mi facevo vedere all’ambasciata dove tutti portavano all’occhiello il distintivo del Fascio. Che cosa significava ormai quel distintivo? A volte mi capitava di discuterne con gli italiani che incontravo all’Ambasciata stessa, o alla redazione del giornale, o nel gruppo degli amici.
Come il mio animo era andato sempre più allontanandosi dalla politica durante quegli anni nei quali i concetti, le convinzioni, le lotte politiche s’eran fatte per me sempre più remote, fino a lasciar di loro soltanto uno stanco ricordo, mentre il lavoro e l’amore d’un mondo nuovo, vario, colorito mi prendeva e mi possedeva sempre più profondamente: così ora, parlando con quei compatrioti che arrivavano dal mio paese con la placchetta tricolore del partito all’occhiello, mi sembrava che quello significasse sempre meno un simbolo, una distinzione politica, piuttosto che un’affermazione, un riconoscimento di nazionalità. Anni erano trascorsi, diverse s’eran fatte le cose da quando, in quel palazzo romano che in tempi migliori era stato sede di circolo aristocratico, e ritrovo di senatori, io avevo incontrato i fascisti col fez nero e col pugnale alla cintura: ora la parola partito non aveva più nessun significato, per lo meno nel suo senso proprio ed etimologico.
Il viaggio
Mestieri
pittoreLivello di scolarizzazione
diploma scuola media inferiorePaesi di emigrazione
Brasile, ArgentinaData di partenza
1923Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Mario Bacchelli
Via dall’Italia
Era appena trascorso un anno dalla presa di possesso del governo per parte dei fascisti, quando...
Frastornato dalla natura
Già nel piroscafo m'ero fatto un piccolo circolo di nuovi amici portalegrensi, che mi davano a...
Gli azulejos di Buenos Aires
Un viaggio di vari giorni attraverso a un paese di vastità grandiosa e desolata mi portò...
La bomba al consolato
Erano, in verità, passati cinque anni da quando avevo emigrato: ampio tempo per sviluppare e accumulare...