Mestieri
giornalista, contadinaLivello di scolarizzazione
diploma Federazione svizzera di giornalismoPaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1964Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri) Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
nostalgiaTemi
nostalgiaIn una giornata di primavera, dalla Svizzera, Germana si abbandona ai ricordi delle primavere vissute nella terra in cui è nata, la Carnia, in una dimensione contadina.
Ho compiuto trentott’anni. Aprile è sempre magico coi suoi risvegli. Mi sono sdraiata sull’erba a pensare ad un augurio: “goditi la primavera Germana, é tutta tua”. Ho risposto che sono tutte mie le primavere. Ne ho avute tante. Non quelle ridicole per indicare gli anni. Quelle piene di fiori, di profumi, di voglia d’amare. Sono mie quelle lungo i muretti di sasso, che non ci sono più, a spiare impaziente i primi profumatissimi boccioli di violette e quelle delle canzoncine stonate, delle risa cristalline di noi bambini, fra i rami dei meli come api impazzite. E quelle sul campanile a suonare a stormo Pasqua, a guardare da lassù i campi, i prati verdissimi, i tetti di tegole e le nostre montagne. A scoprire l’amore a spintoni e a boccacce e a rintronarci la testa battendo a più non posso il “banducèl” sulle campane più grandi di noi. È capitato che arrivassi fin qui, a quasi quarant’anni, senza accorgermi. Con dentro quella piccola “cjargnelùte” paffuta a occhi chiusi, stretti stretti, come quando ti dicono: “indovina chi è!”. Tu li apri e tutto ti si rischiara intorno dopo lo scuro di un attimo. E in un attimo, mezza vita, mi si è parata davanti la donna che aveva avvolto quella creatura curiosa, sana, felice riparandola da tutto. Tesa nello sforzo di conservarne intatta l’immagine spensierata, ho dimenticato di lasciarla crescere. Fino a quando soffocando lei ho finito per non riuscire più nianch’io a respirare.
Fuori piove. Anche se é primavera i profumi si perdono sotto l’acqua che li mortifica non lasciandoli fluire liberi. È tempo di lumache. Le prime chioccioline dal guscio giallo escono dal riparo e attraversano pianpianino le aiuole del mio orto, si nascondono fra i fili d’erba, anche se qui nessuno le coglie o le mangia. Camilla spalancherebbe i suoi occhioni marrone se solo lo accennassi. “Mangiare le lumache? Quelle piccole bestiole simpatiche che ti camminano sulla mano facendoti un solletico lieve e lasciandoti una bella striscia argentea?”. Noi le mangiavamo le lumache. E gli uccelli e le rane… Non sono diversi dai pesci, o dai buoi, o dai polli.. solo un po’ più graziose e delicate. Andavo, piccolina, con il secchio lungo la “radine” un ruscello che scendeva da “suart” fino al fiume “but”. Il suo letto era più stretto, incassato fra gli argini cespugliosi e ripidi che offrivano un riparo sicuro ai “càis” marrone che uscivano con l’umido per arrampicarsi sui grossi ciottoli o passeggiare sul sentierino erboso. Mettevo gli stivali dei grandi e la mantellina incerata e via sotto l’acquerugiola che faceva odorare di buono e di fresco la campagna. Le ore passavano senza che m’accorgessi del sopraggiungere della sera intenta com’ero a ficcarmi sotto ogni cespuglio per raccogliere quante più lumache potevo. Mi piaceva mangiarle, ma mi piaceva ancora di più catturarle nella mia mano, con un istinto selvatico. Guardare il guscio umido attraverso i riccioli gocciolanti che mi scendevano sul viso. Erano un bottino, il mio. Il mio contributo per la famiglia. Ho la netta coscienza della responsabilità innata che ogni piccolo contadino prova da quando incomincia a rendersi conto, ed é presto, molto presto, del lavoro duro che richiede il suo cibo.
Ho visto mia madre china sotto il “buinc” arcuato con appesi alle estremità i pesanti secchi del siero per il nostro maiale o del liquame per i campi. O col gei (la gerla) in spalla o china per ore a sarchiare, a zappare… Lavori di donne; gli uomini non c’erano: cosi non ho mai guardato con tenerezza o con amore, come fanno i miei figli, gli animaletti camminarmi sulla mano. Tuttalpiu’ con curiosità quei grilli svanitelli che uscivano dal buco alla nostra filastrocca insistente i poveri passeri, fringuelli, allodole che guardavo staccare dai rami invischiati dai ragazzi più grandi.
I grilli, gli uccelli, i maggiolini… i giochi crudeli che ci insegnavano a vivere dove vivere voleva dire lottare. Eppure amavo le allegre primule gialle di marzo, le nostre trombette, e i bucaneve che facevano capolino incuranti del freddo e il ciuffo di narcisi che ogni anno fioriva in un prato che conoscevo. Amavo i ciclamini dal profumo intenso che coglievo d’estate per None Picule ma il resto serviva per essere usato non per essere amato. Solo il gattino che ho desiderato per tutta la mia infanzia ricordo. E lo ricordo perché non l’ho mai avuto.
Il viaggio
Mestieri
giornalista, contadinaLivello di scolarizzazione
diploma Federazione svizzera di giornalismoPaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1964Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri) Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Germana Carbognani
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