Mestieri
elettricistaLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Francia, GermaniaData di partenza
1957Data di ritorno
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Lucino Giovanditti è alla seconda esperienza emigratoria. È fuggito dalla Francia per le miserevoli condizioni in cui era costretto a vivere e lavorare. Si è spostato con il padre in Germania, a Stoccarda. Ma il primo impatto con la sua nuova “casa” non promette nulla di buono.
Stuttgart viveva ad un ritmo che non era il nostro. Realtà magica che si attenuava man mano che ci allontanavamo dal centro, per arrivare dopo una ventina di minuti in un posto buio, senza un solo lampione per vedere cosa c’era attorno a noi. Il tassista, anche se conosceva la strada, qualche volta si fermava per controllare il percorso. Lo sentivo borbottare fra se qualche parola e tutto quello che capivo era: ja, ja. Quando si fermò per dirci che eravamo arrivati, non credetti ai miei occhi. Non c’era una sola casa, e ci faceva segno che eravamo arrivati! Pensavo ch’era pazzo. Lui scese per scaricare le valigie invitandoci a scendere e solo allora mi accorsi che a dieci metri da noi c’erano quattro baracche rattoppate di legno. Tra una latta e un’altra trafilavano linee di luci. Eravamo in piena campagna in una specie di bidonville.
Stuttgart era lontana ma visibile per le sue luci. Il mio cuore si era stretto. In venti minuti, ero passato dalle stelle che avevo sognato, alla realtà delle stalle dove mi trovavo.
Ero rimasto impalato senza fiato in mezzo alla strada, con soli testimoni dei miei sentimenti le stelle che mi vedevano. Esitavo a raggiungere le baracche per paura di inciampare in qualche fosso. Mentre stavo prendendo fiato e una decisione, la porta della baracca la più vicina a noi si aprì, e la luce c’illuminò. Le porte delle altre baracche si aprirono anche loro e nel giro di qualche minuto fummo accerchiati dai nostri compaesani tra abbracci e strette di mano. Uno più sbrigativo, che parlava un po’ il tedesco, pagò il tassista, gli altri ci dettero una mano a rientrare le valigie e i pacchi.
Una volta dentro la baracca che ci avevano destinato, la realtà sorpassava la fiction. Per terra, le latte di legno non combaciavano tra di loro e a certi posti si intravedeva la terra. Il tetto era fatto di lamelle di zinco, lo spazio interno non superava quattro metri per quattro, otto lettini a catasto erano affiancati alle pareti. Vicino alla porta, una stufa a legna serviva per cucinare e per il riscaldamento, al centro si ergeva un tavolino, quattro sedie gli stavano sotto.
La sera, quelli che arrivavano per prima occupavano la stufa e il tavolino, dopo era il turno degli altri a farsi da mangiare. I lettini di basso piano servivano anche da sedie e sotto da ripostiglio per le valigie.
Dietro le baracche erano installati dei lavandini da campeggio, scoperti. Per i bisogni corporali c’era la campagna.
Il viaggio
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