Mestieri
baristaLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
SomaliaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Appena arrivato a Mogadiscio, Giuseppe Vaglio trova un ottimo lavoro da barista, ben pagato. L’unica controindicazione è accettare le liturgie del regime fascista.
Dopo aver fatto il giro di tutta la città, ritornammo a casa per la cena. La sera si parlò del più e del meno e N. mi disse che l’indomani avrei dovuto andare con lui per presentarmi al bar ristorante O.N.D. (Opera Nazionale Dopolavoro), dove avevano urgente bisogno di un barista. Lui si era messo d’accordo per un eventuale mio inserimento in questo nuovo locale che, fra l’altro, era frequentato da tutti i funzionari della Casa del Fascio di Mogadiscio. La Casa del Fascio era in costruzione vicino al grande monumento ai caduti di guerra, in una bella e grande piazza del centro, e il bar ristorante era vicino ad essa. La mattina dopo ci dirigemmo all’appuntamento col padrone del-l’O.N.D., signor M., e dopo le presentazioni ci mettemmo a discutere sul funzionamento del bar ristorante. Il padrone notò subito che ero esperto del mestiere e mi diede l’opportunità di iniziare a lavorare con lui in qualità dì barista fin dall’indomani portandogli la tessera di iscrizione del Partito Fascista. A questa richiesta io risposi che non ero mai stato iscritto al Partito e che quindi non avevo nessuna tessera. Il signor M. mi fece presente che la maggior parte dei clienti del locale era costituita da funzionari fascisti e che il locale stesso portava un nome fascista, e se io volevo lavorare dovevo iscrivermi al Partito come erano iscritti tutti coloro che lavoravano negli edifici pubblici in Somalia. Egli stesso mi portò alla Casa del Fascio, mi presentò alle autorità locali, che lui conosceva molto bene, mi furono richieste tre fotografie e dopo tre giorni ottenni la tessera del Fascio, come appartenente ai Giovani Fascisti. Dopo la consegna della tessera fui presentato a un tenente del Fascio che da quel momento sarebbe stato il mio Comandante Capo. Io non avevo nessuna idea di come funzionassero la cose in questo Partito Fascista, fatto sta che il tenente mi diede ordini precisi: tutte le domeniche mattina, alle sei e trenta, dovevo presentarmi all’adunata dei Giovani Fascisti, alla Casa del Fascio, per il consueto addestramento in divisa, con la camicia nera, pantaloni kaki alla cavallerizza, stivaloni, fazzoletto giallo-rosso intorno al collo e casco kaki in testa. Consegnata che mi fu la tessera, la portai al signor M., che mi inserì nell’organico del locale in regola con tutti i diritti e doveri, e l’indomani incominciai a lavorare. L. mi prese le misure per farmi la divisa da Giovane Fascista, che doveva essere pronta per l’adunata della domenica successiva. Iniziai il lavoro del turno pomeridiano. Lo stipendio fissatomi dal signor M. era di duemiladuecento lire al mese più le mance. Quando sentii quella cifra rimasi a bocca aperta: pensando che a Palermo prendevo solo duecento lire al mese sentii un tremolio alle gambe. In più, quando ero di servizio, pranzavo o cenavo al ristorante, come tutti gli altri colleghi. Lorario era dalle sei e trenta alle due per il turno di mattino e dalle due alle nove e trenta per il turno serale. La sera alle nove e trenta si chiudeva perché in quella zona dopo quell’ora transitava poca gente dato che era un po’ fuori dal centro vero e proprio della città. Incominciai la mia prima giornata di lavoro con molto entusiasmo, anche perché lo stipendio era molto elevato in confronto a quello italiano. L’afflusso dei clienti era continuo per il transito dei vari trasportatori che dovevano passare dalla nostra strada per uscire dalla città. Alle sei del pomeriggio, finito l’orario d’ufficio, arrivarono una schiera di funzionari del Fascio con in testa il Federale, e quando giunsero davanti al banco si misero tutti sull’attenti e fecero un bel saluto alla romana gridando «Viva il Duce»! Poi ordinarono gli aperitivi. Io servii tutti, mi voltai e vidi che sopra il muro del bar c’era scritto: CREDERE, OBBEDIRE, COMBATTERE. Mah! Ero entrato in un ambiente molto strano per me, non sapevo come mi dovevo comportare nel vedere tutte quelle pagliacciate. Ma dovevo pensare al lavoro e adattarmi al comportamento degli altri, usare la stessa filo-sofia di sempre, sempre col sorriso sulle labbra, senza pensare ad altro. Tanto a me interessavano il lavoro, la pace e la tranquillità. La sera, ritornato a casa alle dieci, trovai mia madre e L. che instancabilmente lavoravano ancora. Feci il resoconto a mia mamma e le comunicai che il mio stipendio sarebbe stato di milleottocento lire al mese. Lei mi strinse forte al petto e mi baciò dalla contentezza, senza sapere che avevo nascosto quattrocento lire per le mie spese di giovane scapolo.
Il viaggio
Mestieri
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