Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1954Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Giovanni percorre le tappe tipiche dell’emigrazione italiana nel dopoguerra verso la Svizzera. La sua destinazione, tra non poche difficoltà, è la cittadina di Uster.
Partimmo da Termoli e la mattina seguente arrivammo a Chiasso. Nei pressi di Milano domandai al mio paesano se eravamo ancora in Italia, non capivo una parola. Il mio viaggio più lungo era stato quello fatto nella mia provincia di Campobasso. La sua fu una risposta rassicurante: secondo lui, eravamo vicino Milano. Questo non era ancora niente: il bello doveva ancora venire, nella Svizzera tedesca. Arrivammo a Chiasso e dovemmo scendere per la visita medica. Depositammo i bagagli e andammo, ma l’attesa era lunga e dopo qualche ora avevo fame. Informai il mio paesano che andavo a prendere da mangiare e mi allontanai. Quando feci ritorno, non trovai più nessuno. Mi preoccupai, andai dietro le porte e sentii delle voci, ma non mi ero reso conto che mi trovavo nel reparto femminile; aprii la porta e mi trovai dietro a una fila di donne nude o quasi. Io non sapevo cosa fare per la vergogna, ma le donne si spaventarono proprio come fanno le galline; mi dispiace dirlo, ma era proprio così: c’era solo da fare un film. La dottoressa mi disse tante di quelle parole, che le sento ancora nelle orecchie, e mi mandò nel reparto maschile. Era un controllo minuzioso, cercavano solo gente sana: quelli acciaccati, dietro front! C’erano padri di famiglia che piangevano, ma purtroppo era la prassi. A me andó tutto bene, come pure al mio paesano, e si ripartì per Zurigo. Arrivammo verso le ore 22. Il mio compagno prese il treno per Basilea e io quello per Uster. Buona fortuna, per entrambi. Nel mio scompartimento chiesi con i gesti dove era l’indirizzo a cui ero diretto; uno subito intuì che io non parlavo la sua lingua e mi accompagnò fino a casa. Questo fú per me un buon segno di accoglienza. Queste sono cose che non si possono dimenticare, proprio nei momenti di bisogno. Il giorno dopo mi alzai e mi chiamarono in cucina per la colazione. Io parlavo a modo mio, il padrone a modo suo, mentre il signore faceva da interlocutore. Solo a gesti. Aveva due figlie femmine che studiavano e che pensavano che io sapessi la grammatica tedesca: allora provavano con la lingua tedesca e così la Babilonia era completa. La mia arma era quella di stare attento a tutto quello che faceva lui e io l’afferravo. Questo durò per circa 3-4 mesi. Non potendo parlare, la sera, prima di andare a letto, piangevo; così mi scaricavo, mi stancavo e prendevo sonno. Ero un giovanotto di 18 anni, aperto e dinamico. Cercavo a ogni costo di superare le difficoltà che incontravo. La durezza maggiore era quella di non poter parlare non solo il dialetto della Svizzera tedesca, ma neanche il mio.
Il viaggio
Mestieri
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