Mestieri
domesticaLivello di scolarizzazione
frequenza elementarePaesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1939Data di ritorno
1947Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976) Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Teresa Boschin – al pari di tanti lavoratori privi di un regolare permesso di soggiorno – si trova in grande difficoltà. Vorrebbe rimpatriare, ma le frontiere sono chiuse.
Erano ormai più di sei mesi che vivevo in Francia e, nonostante il visto fosse ormai scaduto, non mi era possibile rientrare in Friuli perchè le frontiere erano ancora chiuse.
In quel periodo il governo Petain emanò delle leggi contro il lavoro abusivo, gli stranieri senza permesso di soggiorno potevano occupare solo i posti che venivano lasciati vacanti dai francesi, che consistevano per lo più in lavori agricoli. I miei padroni ormai si erano affezionati a me, apprezzavano la mia collaborazione e si fidavano al punto di avermi affidato le chiavi di tutto l’albergo. Per aiutarmi, mi mandarono a Orléans, nell’Hotel le Berry di loro proprietà, pensando che sarei stata meno controllata. L’hotel si trovava di fronte alla stazione e di fianco ad una caserma; per fatalità le SS lo trovarono adatto per adibirlo a sede del comando; siccome aveva subito numerosi danni con i bombardamenti, per renderlo abitabile, i tedeschi si servirono dei prigionieri francesi che erano muratori, falegnami, imbianchini.
Mi trovai così a vivere sotto lo stesso tetto delle SS. Avevo il compito di servire a tavola gli ufficiali e, per dire il vero, erano molto gentili con me e non mi davano nessuna soggezione. Non riuscivo però ad essere completamente tranquilla; se scoprivano la mia situazione irregolare cosa sarebbe accaduto? Vedendomi spesso triste e pensierosa mi sollecitarono a confidare i miei problemi. Immediatamente mi fecero un certificato nel quale dichiaravano che, avendo requisito l’albergo, anche il personale doveva restare a loro disposizione. Con quel documento potevo stare tranquilla.
I prigionieri cominciarono a chiedermi sempre più spesso dei favori: c’era chi mi pregava di impostare delle lettere e chi mi chiedeva di trovare delle tute di lavoro, possibilmente sporche di calce. Io non facevo che pensare:
“Ma cosa faranno di quelle tute sporche?”. La risposta a queste mie perplessità non tardò ad arrivare.
Un giorno, mentre servivo a tavola, sentii le SS che si lamentavano per la scomparsa di alcuni prigionieri. Essendo la caserma sotto stretto controllo, i loro sospetti ricadevano sul personale dell’Hotel Le Berry. Interrogarono tutti e minacciarono che saremmo finiti in prigione se avessero scoperto che eravamo complici.
“Mettermi in prigione? Mi mettano pure, così risposero un poco!” – pensavo. In cucina mi accusano di sare con le SS, le SS sospettano che lavoro per i francesi! Si mettano d’accordo una buona volta!”. Ma la sicurezza che ostentavo svanì quando venni a conoscenza della funzione delle tute: quando un prigioniero riusciva ad averne una, la indossava e faceva il possibile per confondersi in mezzo agli operi che lavoravano nell’albergo. Con naturalezza, prendev un secchio di calce, andava a rifornirsi d’acqua alla fontana in fondo al cortile e si dileguava nel bosco. Si era sparsa la voce che madame Thérèse li aiutava ad evadere e che si poteva contare su di lei. Quando mi resi conto dei rischi che avevo corso favorendo la loro fuga, mi rifiutai di collaborare ancora.
Il viaggio
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