Mestieri
ricercatore, addetto all'ambasciataLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
CinaData di partenza
1983Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)L’acme delle proteste studentesche nella primavera cinese del 1989 descritto da Cesarano Catello, consulente scientifico dell’ambasciata italiana a Pechino.
Pechino, Giugno 3, 1989
La situazione rimane fluida, oggi 3/6, i soldati si sono avvicinati al centro, accolti con molta mala grazia dalla gente. E’ tutto strano: sono stati mandati così alla chetichella, a piedi e a piccoli gruppi. Molti di loro sentendosi sgridati e mal visti sono disorientati e avviliti.
Giugno 6, 1989
Difficile raccapezzarsi con tutto quel che sta succedendo. Possiamo cominciare dal 2 giugno. In serata c’è stato il grande ricevimento all’ Ambasciata d’Italia per celebrare la festa nazionale. Più di mille gli invitati, in una giornata radiosa e anche non troppo calda. Intervenuti tra le autorità cinesi il Ministrò dell’Agricoltura, il Presidente dell’Accademia delle Scienze: Zhou Guangzhao. Atmosfera da grande festa, ben riuscita perché’ gli ospiti hanno potuto riversarsi in giardino e anche se tutti erano consci che la situazione politica era tutt’altro che chiara e che continuavano le manifestazioni studentesche a dispetto della legge marziale, nulla faceva ritenere che vi sarebbe stata una evoluzione in tempi molto brevi. Il giorno dopo Sabato, 3 giugno, eravamo in casa, più esattamente affacciati sul balcone di casa nostra, al quattordicesimo piano del compound diplomatico che fa angolo tra la Chang An Jie: la grande strada che porta alla Piazza Tian An Men in direzione Ovest e il secondo grande raccordo che corre perpendicolare a questa strada. Dal nostro balcone si domina una vista che arriva fino al Pechino Hotel e alla città proibita. Le strade sotto erano molto affollate di ciclisti e passanti, quando a un certo punto si vedono arrivare dei plotoni di soldati a piedi, accompagnati da persone in abito civile. Questi soldati non erano particolarmente marziali. In Italia li avremmo definiti: soldatini. Senza fucile, senza elmetto, dall’aria di adolescenti sprovveduti. In un batter d’occhio la folla che nel frattempo è cresciuta a vista d’occhio, li ha fermati e ha cominciato a discutere con loro amichevolmente, fraternamente. I poveri soldatini si sono come disorientati, in colonna si sono diretti verso le viuzze che sboccano sul grande raccordo. Alcuni sono tornati indietro in chissà quale direzione, tra loro chi era confuso chi persino piangeva. Siamo poi andati a colazione dall’Ambasciatore Irlandese, dove era ospite anche Mezzetti, un giornalista che ci ha riferito di quello che aveva visto la notte precedente: contingenti di militari a piedi che si stavano muovendo in direzione di Piazza Tian An Men verso le due di notte e prima ancora di arrivarci si erano visti sbarrata la strada da una immensa folla sorta quasi per incanto. In pratica la folla ha finito con l’avere la meglio sui soldati che sono stati respinti ai lati della Chang An Jie. Al primo pomeriggio siamo tornati a casa. A un certo punto sono arrivati degli autocarri carichi di militari dall’aspetto più marziale: armati di mitra e fucili, con l’elmetto. Si sono attestati coi camion a sud del cavalcavia, con la folla che cercava sempre il dialogo con loro, però senza che potesse intervenire e farli scendere. I soldati se ne stavano dentro i camion molto disciplinatamente in attesa di ordini, mentre tutto intorno si accalcava la gente che voleva discutere con loro. Dopo di loro sono arrivati alcuni camion carichi di giovanotti in borghese con in testa un elmetto giallo di quelli antinfortuni che indossano i lavoratori nei cantieri. La folla ha immediatamente circondato e fermato questi autocarri. Molto probabilmente si trattava di persone reclutate per dimostrare “contro” gli studenti, o forse anche provocatori che avrebbero dovuto innescare disordini, non si può nemmeno escludere che fossero lavoratori reclutati per sgomberare la Piazza. Certamente qualunque fosse il loro programma, non hanno avuto tempo di attuarlo. La gente li ha fatti scendere dai camion buttando via i bastoni di cui erano ben provvisti e trattandoli piuttosto ruvidamente, anche se evitando di malmenarli. Alla chetichella se la sono squagliata con l’aria di essere contenti che le cose si fossero messe in quel modo.
Uno di loro preso dal panico s’è messo a scappare a gambe levate in mezzo alla folla e spinto di qua e strattonato di la, ha finito col ruzzolare malamente per terra. Qualcuno l’ha sollevato da terra e senza ulteriormente infierire l’ha convinto ad andarsene via di li. A sera la situazione si presentava più o meno allo stesso punto. La colonna di autocarri coi militari dentro, la folla fuori che cercava di dialogare con loro, un intenso traffico di biciclette e molta gente assiepata ai bordi delle strade. Verso le dieci di sera assieme a Crisa’ abbiamo deciso di portarci in bicicletta verso Tian An Men per cercare di capire cosa stesse succedendo. Una volta in strada ci siamo accorti che il muoversi era particolarmente complicato: una folla enorme si muoveva nei due sensi, e la strada era ostruita in più punti da automezzi messi per traverso. Arrivati a Dong Dan a circa un Km dalla piazza non ce la siamo sentiti di proseguire, tale era la confusione, la ressa e quindi il rischio di perdersi o di trovarsi implicati in qualche scontro. Siamo andati a dormire molto tardi. Verso le tre ci telefona Crisa’ per comunicare che una colonna di carri armati, si sta avvicinando verso il ponte prima del Jian Guo Hotel a circa 1,5 Km dal nostro compound, e che la folla aveva costruito delle barricate per sbarrare loro la strada. Altre notizia arrivano dalla parte Ovest della città. Pare che siano in corso degli scontri tra militari e la folla. Si incrociano telefonate anche piuttosto angosciose. Giulio Pecora, il corrispondente dell’ANSA si trova al Pechino Hotel e mentre telefona a casa gli strappano il telefono di mano, lasciando la moglie in un comprensibile stato di ansietà. Alle 4,30 – 5 del mattino, si sente un frastuono sempre più intenso. E’ il caratteristico rumore di ferraglia di una colonna di carri armati. Hanno sfondato al ponte vicino al Jian Guo Hotel e si dirigono verso la piazza Tian An Men, a forte velocità. Si sentivano anche colpi di anni da fuoco, provenienti da più parti, alcuni vicini altri lontani. Poi sono arrivate le prime tragiche notizie da quelli che stavano in piazza o nelle vicinanze, con le prime cifre sui morti: all’inizio sembravano che fossero poche decine poi le stime sono arrivate ad alcune centinaia di morti tra la folla e un numero non piccolo di morti e feriti anche tra i soldati. L’alba del 4 giugno, è sorta su una città avvolta da un cupo silenzio. Nonostante tutto quello che era successo, un vecchiettino sotto casa faceva la solita ginnastica delle ombre, acuendo una sensazione come di in-realtà’. I soldati della colonna erano scesi dai camion e si lavavano o facevano il bucatino, scarsi i ciclisti, scarsissimi anche i passanti e i curiosi che avevano riempito le strade fino alla sera prima. In tutto questo i semafori funzionavano regolarmente. Alle sette le prime notizie delle radio straniere: la B.B.C. e la Voice of America, confermavano i dati sul numero di morti e feriti. In serata siamo andati verso l’albergo Holiday Inn che si trova sulla strada che porta all’aeroporto con alcuni amici, (Crisa’, Righetti, Aldo e Alice Morante) per trovare Clara Bulfoni e Maurizio Merolla rappresentante del Gie perché’ da loro si poteva ricevere i programmi televisivi via satellite della CNN, una stazione americana che ha fornito immagini molto drammatiche dei fatti successi la notte precedente. In serata un gruppo di autocarri carichi di soldati in assetto di guerra, si è fermato sul raccordo proprio sotto casa nostra. I soldati sono scesi e hanno preso posizione coi fucili imbracciati. Poi è sopravvenuta una seconda colonna questa ben più numerosa, e dopo un po’ entrambe le colonne sono ripartite. La notte è stata relativamente tranquilla. Di tanto in tanto rumori di spari. Il giorno dopo 5 giugno, sono andato in Ambasciata. Tornato alla una e un quarto, il quadro non era cambiato molto. C’era l’Ayi che aveva avuto molte difficoltà a venire. Gli eventi delle giornate precedenti avevano lasciato tracce evidenti anche sulla strada sotto la nostra finestra e sul raccordo verso la Chnag An Jie: numerosi camion rotti erano stati abbandonati, uno di questi aveva ancora in funzione le luci di posizione. A un certo punto i militari hanno appiccato fuoco a tre di questi. Dopo un po’ è anche giunto un individuo che con fare circospetto li ha fotografati, il che ha fatto venire il dubbio che si volessero costruire delle testimonianze contro i rivoltosi colpevoli di aver bruciato i camion dell’esercito. In serata un nutrito gruppo di carri armati e automezzi blindati ha preso posizione sul cavalcavia. In un primo momento sembrava che volesse accerchiare la colonna di militari che ormai si era acquartierata nella zona, ma poi dal loro schieramento si è capito meglio che volevano presidiare il cavalcavia contro possibili attacchi. Attacchi da parte di chi, da dove? Sono cominciate a circolare voci sull’inasprimento dei dissensi esistenti tra vari comandi militari. Infatti era già noto e chiaro dai fatti successi i giorni precedenti, che non vi era certo omogeneità di vedute e comportamento tra i vari reparti. La voce più insistente era che i più intransigenti erano stati quelli della armata agli ordini del genero del Presidente della Repubblica Yang Shangkun. Abbiamo aspettato qualche ora e poi siamo andati a letto convinti che nel corso della notte vi sarebbero stati scontri tra militari. Invece al mattino ci siamo svegliati con davanti lo stesso quadro della sera precedente. I cani ancora in posizione a difesa del cavalcavia, i militari della colonna in attesa di ordini.
Voci disparate intanto arrivano da tutte le parti: Deng Xiaoping è morto, attentato a Li Peng, 60 carri armati in arrivo da Tianjin, fare scorta di viveri, l’Ambasciata ha due scatoloni di viveri di emergenza: sono 60 razioni, il che vuol dire che bastano per due giorni per una trentina di persone. Vengono distribuite bandierine tricolori per contrassegnare le auto ed evitare incidenti. Licia fabbrica due bandiere bianche con la croce rossa da assegnare ai dottori. Il Dr Volpe che doveva tornare in Italia con moglie e figli, si offre di rimanere e fa partire il resto della famiglia. Alcuni dipendenti dell’ambasciata, spaventati dai continui colpi di arma da fuoco e dalla presenza dei carri armati proprio sotto casa, vorrebbe spostarsi presso case più al sicuro. Alle 18 del 6 giugno, tutto sembra calmo. La temperatura si è di colpo abbassata. Pioviggina e i soldati ora sono tutti equipaggiati con impermeabili verde scuro. Non si sente più sparare. La televisione cinese da due giorni trasmette come nulla fosse programmi di intrattenimento, o film, interrotti di tanto in tanto da notiziari estremamente succinti. Appaiono dei comunicati scritti sullo schermo. Gli annunciatori sono spariti.
Giugno 7, 1989
La sera del 6 giugno ha segnato una ripresa dei notiziari televisivi. Sono stati trasmessi dei servizi in bianco e nero relativi agli attacchi contro i soldati da parte della folla. Con molto accanimento la folla lanciava sassi contro autocarri e carri blindati inermi e indifesi. Un autocarro che si è fermato in mezzo alla strada, è stato preso a sassate. I vetri sono stati infranti e il conducente o i conducenti, non hanno potuto uscire. Nel frattempo altri autocarri e carri blindati hanno continuato la loro corsa senza fermarsi per prestare soccorso al camion fermo.
Il viaggio
Mestieri
ricercatore, addetto all'ambasciataLivello di scolarizzazione
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CinaData di partenza
1983Periodo storico
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