Mestieri
infermieraLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
BrasileData di partenza
1992Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Il viaggio di Valeria e delle sue colleghe torinesi entra nel vivo della missione che le ha portate fino in Brasile all’inizio degli anni ’90. A Teofilo, cittadina dell’entroterra, visitano le case e della favelas, l’asilo e l’ospedale, cercando di impartire nozioni sanitarie di base alla popolazione locale.
5 APRILE (sole con qualche nuvoletta).
La domenica la colazione è verso le 8,00, mentre gli altri giorni è fiscalmente entro le 7,30. Oggi è un’eccezione. Ne approfittiamo per lavare e stirare le due magliette e i due bermuda che ci siamo portate. Si fanno le dieci, c’è la fatidica riunione del passaggio della consegne. Si parla innanzitutto dei problemi della creche (L’asilo) dove è stato iniziato un grosso lavoro che consiste nel far entrare nella cultura di questi bambini, qùasi tutti favelados, qualche norma di igiene elementare, come l’uso dei gabinetti e del lavarsi le mani prima di mangiare. Capiamo che il problema è soprattutto delle educatrici, che sono le prime cui non è stato insegnato. Anche loro sono state “reclutate” nella favela e lavorano circa 10 ore al giorno per venti dollari al mese. In Ospedale la situazione è diversa: si va infatti in una struttura organizzata, dove il grosso problema è la cultura: infatti su 15 infermiere, solo una ha studiato in ospedale ed è diplomata, le altre hanno imparato…. “sul campo”. Infine parliamo del problema delle adozioni a distanza: è una cosa che in Italia ha molto successo, perchè ognuno di noi probabilmente è più contento se sa dove vanno a finire i propri soldi, ma qui è un po’ diverso. Quando si amministrano i soldi, succede che le suore portano quel po’ di spesa alla famiglia e la consegnano, al bimbo adottato. Ma se il bimbo è uno dei cinque figli di una madre vedova, come si fa a darlo solo ad uno? È ovvio che poi ne mangeranno tutti, ma non è bello consegnarlo solo ad uno… Oppure: è giusto consegnarlo solo a due delle trecento famiglie di una favela? No, non si può… O si portano tutti i poverissimi ad essere ad un livello superiore, anche di poco, ma omogeneo (ad esempio essere tutti in grado di pagare l’acqua) oppure si cerca di agire sulla cultura. Ma si rischia di cadere nell’assistenzialismo e allora aspetteranno solo gli aiuti e non cercheranno mai di cavarsela da soli. Che pasticcio. Basta pensare. Pranzo. Subito dopo pranzo, che con i tempi brasiliani è dopo un’ora e mezza, andiamo, con Anselmina nella favela di Pavao.. È vero quello che si discuteva con Claudia: il dislivello si vede molto meno, perché anche i ricchi, quando escono di casa, devono camminare nella terra e sporcarsi, anche loro comprano dagli stessi negozi e poi, sono pochissimi. Andiamo a trovare una signora paralizzata dalla vita in giù: è da 12 anni nel letto, riesce a stare soltanto in posizione prona. Probabilmente è stato un tumore, ma nessuno lo sa.
Così ora lei sta nel letto, ma ha trovato la forza di reagire: lava e stira anche per le altre persone del paese, lavora all’uncinetto per i negozi. C’è tanta gioia nei suoi occhi. Proseguiamo, inizia un sentiero di terra rossa, molto stretto e molto in salita, con i canaloni scavati dalla pioggia. È quello che porta nel cuore della favela. Più andiamo avanti e più il sentiero è stretto, tortuoso, coperto dalle foglie della fitta vegetazione. Ora é solo più largo 10 cm perché di fianco c’è la fognatura all’aperto ed è molto difficile camminare. Deviamo su un altro sentiero di sinistra per arrivare alla casa di una donna. Ha 35 anni ma ne dimostra 60. Vive con il padre, il marito e i figli nella sua casetta di fango. Anselmina ci spiega che ha imparato a cucire e che confeziona gli abiti con passione incredibile. Ce li mostra, ne è molto orgogliosa, ed effettivamente sono molto belli. Proseguiamo la nostra visita ed andiamo dalla madre di 7 bambini che vengono ogni giorno alla creche. Le ultime due sono gemelle: questa casa (dentro ci sono più di 40°C) è un’unica stanza di 3 mt. per 4 in cui vivono in 10. C’è una puzza terribile. Andiamo ancora avanti. Per uscire da questa casa c’è una scalinata scavata nella terra, ripidissima. Anselmina saluta varie persone ed usciamo dalla favela, alla volta dalla creche. Lalla ci spiega i locali, le persone e cosa c’è da fare. Vedendo il bagno capisco perché non lo usano. I locali sono grandi ed anche il cortile. È sabato e ci sono molti bambini. . . Andiamo poi a visitare l’ospedale. È su un unico piano su cui ci sono le medine adulti, maschi e femmine, la sala operatoria, la sala parto e la pediatria. Sono strutture ovviamente primitive, ma funzionanti. La pediatria è un unico stanzone che raggruppa tutto. Ora ci sono 7 pazienti con varie patologie, tutti vicini. Cena e Messa. Durante la Messa (senza prete!) si salutano le ragazze che partono e si accolgono quelle nuove. Ovvi i pianti e i baci e abbracci. Poi, tutti insieme in comunità per un bicchiere di Coca e rhum (gradito anche dal personale ecclesiastico!), due canti d’addio e i nostri saluti, con la promessa di rivederci presto a Torino. Confesso di essere un po’ angosciata. Non avevo mai visto tante cose tutte insieme, sotto un sole caldissimo e colline così verdi. E vedere il sorriso sugli occhi di questa gente. Stasera ci sono delle stelle bellissime. Buonanotte.
Il viaggio
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