Cominia bene

Una delle prime sere suonò il campanello, e una delle voci dell’appartamento accanto si materializzò in una specie di pin up bionda, pantaloni e top rosa, tutta truccata, che teneva per mano un bambino. “Devo andare a prendere mio marito, potresti dargli un’occhiata?” “C’è un altro bambino nella culla” aggiunge in fretta, uscendo. Il bambino, forse due anni, l’interno delle gambe dei pantaloni tutto bagnato di pipì, l’aria tristissima e raffreddata, non dice una parola. Cerco di farlo giocare, senza averne nessuna reazione. L’altro bambino piange, lo prendo in braccio; deve avere il raffreddore anche lui. Tornò la madre, senza marito. “Quanto ti devo?” chiese, brutale. Sorpresa, scossi la testa. Dopo neanche mezz’ora suonò di nuovo alla porta. “Devo andare a Hollywood; faccio la modella. La mia compagna di stanza dovrebbe tornare tra poco, potresti…. Ti do un dollaro quando torno”. Più che sufficiente per un’italiana. Già scendendo le scale si voltò. “Lascia pure piangere il bambino, ha un po’ di colica. In bagno c’è una bimba che dorme”. “La prossima volta saranno quattro”, mi dissi e porsi un biscotto al bambino più grande, che non lo prese. Si animò soltanto, gridando “Mummy, mummy” e correndo verso la porta, quando si sentirono dei passi sulle scale. Ma era la compagna di stanza, altra pin up bionda, pantaloni e gilet rossi sulla camicia bianca. Le veniva dietro un ragazzo mingherlino, la faccia rossa di acne. “La mia conoscenza di L.A. comincia bene”, sorrisi, richiudendo la porta.