Mestieri
impiegataLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
GermaniaData di partenza
1990Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Rientrata in Italia dopo dieci anni di lavoro in Germania come impiegata del Ministero Affari Esteri, Maria Emanuela Galanti raccoglie le memorie di alcuni italiani emigrati incontrati in quel periodo. Tra questi: Luisa, che si reca al consolato per un disperato tentativo di mediazione con la famiglia di origine che ostacola il suo matrimonio con un giovane turco da poco conosciuto.
Luisa arriva alla mia scrivania circondata da un gruppo rumoroso di persone che all’inizio mi sembrano famigliari. Poi noto che non parlano Italiano e chiedo loro di aspettare nella sala di attesa : sono i parenti di lui, un cittadino turco, che rimane ora insieme alla ragazza davanti a me e con cui non scambio neanche una parola, per tutta la durata dell’incontro. Luisa mi fissa e non sa come cominciare. “Siete qui per le pubblicazioni matrimoniali ?” chiedo allora io, per entrare in argomento. “Beh, per le pubblicazioni è un po’ presto -risponde Luisa – Io, sì, lo vorrei sposare, ma i miei non vogliono e mi hanno minacciata di buttarmi fuori di casa se continuo con questa storia. Il fatto è che lui è turco e mia zia non vuole saperne di uno che non sia cattolico.” Vengo poi a sapere che i famigliari di Luisa sono anche i suoi datori di lavoro, perché Luisa, appena ventenne, ha lasciato da qualche mese il paese, in Sicilia, per venire a lavorare come cameriera nel ristorante della zia. La mamma di Luisa è rimasta in Italia ed il papà è deceduto da tempo, e così Luisa non può rivolgersi a nessuno se ha dei problemi. E ora ha dei problemi, dei seri problemi: se sposa il suo amore non avrà più lavoro e se non avrà più lavoro non potrà ritrovarlo facilmente perché non parla ancora tedesco.
Le chiedo allora che lingua parli con il suo fidanzato (un po’ d’ inglese, mischiato con le prime parole di tedesco) e che lavoro faccia lui (è ancora apprendista, “Auszubildende”, come auto-meccanico). Scambiamo ancora qualche parola, che a me sembra inadeguata e malconcia, un girare intorno alla situazione, che mi appare difficilissima, senza riuscire ad afferrare il bandolo della matassa: i risentimenti violenti, oscuri, contraddittori, che sballottolano il suo cuore e lo spingono ora verso il fidanzato, ora verso la famiglia di origine. Finalmente Luisa mi chiede qualcosa che le preme, qualcosa che l’ha spinta a venire in Consolato e che ora finalmente affiora: mi chiede se il Consolato la può aiutare, se posso parlare io con la zia e cercare di convincerla della serietà della relazione. Dico a Luisa che la mediazione famigliare non fa parte dei compiti ufficiali assegnati agli impiegati consolari, ma che può comunque eventualmente rivolgersi al nostro Reparto di assistenza sociale. Le chiedo comunque se non abbia pensato alle ragioni della zia, a quanto siano ancora entrambi molto giovani, al fatto che il matrimonio con cittadini comunitari fa gola a molti cittadini extra-comunitari senza permesso di soggiorno permanente. A queste parole Luisa si riscuote, guardandomi con occhi atterriti e per un attimo spavaldi: “ma no, ma no, lui il permesso di soggiorno già ce l’ha, ne sono sicura, la sua famiglia è qui da anni. E poi e così gentile con me. Mentre mia zia è manesca e violenta, a volte la sera mentre discutiamo alza le mani e mi picchia.” E Luisa si alza e mi gira le spalle, dicendomi con freddezza “vedo che lei non può proprio aiutarmi”, visibilmente contrariata all’idea che io possa simpatizzare con la zia piuttosto che con lei. Sì è così Luisa, non posso aiutarti e tu sei un limite chiaro, palpabile, al mio desiderio di poter aiutare tutti.
Il viaggio
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