Mestieri
inpiegatoLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
VietnamData di partenza
1960Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Prima tappa dell’incredibile viaggio in Lambretta verso l’Estremo Oriente intrapreso dal fiorentino Cino Ghigi nel 1960. Cino arriva a Karachi, in Pakistan.
KARACHI (Pakistan) – 10-14/11 – Tolte le prime ore dure di sonno, ho dormito assai poco stanotte; il pensiero di giungere nella favolosa India non mi ha dato pace. In sogno ero già sceso a terra. Ma al primissimo albeggiare intravisto dall’oblò una lunga fascia scura staccarsi dal mare pacato, sono corso in pigiama sul ponte con la Rollei già preparata da iersera. Lo spettacolo a cui ho assistito trepidante da qui non lo dimenticherò, facilmente. Mentre una leggera brezza mi ventilava il viso ancora insonnolito, il cielo incerto verso oriente mi e apparso macchiato di cumuli neri e sfrangiati come se stessero li ad impedire al sole di rivelarsi e a perpetuare lo stato di sospensione di tutte le cose. Anche il porto di Karachi non si poteva distinguere, ma pur presente con l’alternato lampeggiare del suo faro. Poi l’astro si e sollevato di prepotenza e rapido dal mare rigandolo di una traccia rossastra, come rossigni erano mille anfratti nel cielo, tra molteplici masse nuvolose che circondavano immobili tutta la grandiosa scena fin dietro le mie spalle. Era il momento delle foto. Non so perché quelle nubi fosche e compatte nel fatidico punto, abbiano permesso al sole di uscire dilatato e dardeggiante che si poteva fissare; indubbiamente per un fenomeno di instabilità dell’atmosfera. Ma poi lo hanno ingoiato, prolungando l’albore con mio dispetto perché sulla città si scorgevano appena i minareti stanchi di vegliare. Nel frattempo ci siamo dovuti fermare per rendere libero il passaggio ad una flotta da guerra nella rada, composta di portaerei, incrociatori e sottomarini, i quali sono andati allontanandosi dopo vivaci segnalazioni ottiche fra di loro. In seguito la tremolante superficie liquida e l’ingombro nella volta celeste che l’astro non aveva potuto forare se non attraverso squarci da cui uscivano scie di vapori luminosi, si sono tinti di colori prima tenui poi sempre più vivi, specialmente ai margini.
Karachi vista dal mare é un brulichio di strane case moderne se consideriamo la sua posizione di città asiatica isolata alle foci del gran fiume Indo che scorre in regioni arcaiche estremamente aride. Tradisce la sua rapida crescita dopo la creazione dello Stato pakistano in data piuttosto recente diventandone la capitale; però la gente che l’abita non credo che sia molto dissimile da quella appartenuta alla millenaria civiltà di cui sono espressione. Karachi non e un caledoscopio di genti; almeno ho supposto quando, imboccata la “Bondar road main street”, la via principale; sono andato incontro ad una moltitudine che aveva la tetraggine non sui volti sereni ed espressivi, ma nelle vesti disordinate e bigie, tutte intere dalla testa ai piedi. L’uomo qua, allorché si è tolte di dosso la pelle di capra, deve essersi infilato la tunica l’indumento più semplice che si possa immaginare: senza più levarsela. I colori sgargianti come il rosso fuoco, sono rimasti agli uscieri delle banche e degli uffici in genere, che li ebbero al tempo della dominazione inglese. Nelle nostre città le folle seguono sempre un certo indirizzo; qui si sta in gruppi, a frotte, non si sa quale immediata meta essi abbiano, oppure si è assorti, oziando ciascuno per proprio conto, immobili agli angoli della cantonate e seduti in terra appoggiati al muro, oppure ancora, vaganti nella corrente umana che li sballotta, sempre biascicando forte delle nenie con voci irriproducibili nel suono comune. Chi siano e di che cosa campano non si sa; sicuramente appartengono ad una categoria di intoccabili, laceri e consunti, per i quali l’abolizione delle caste non ha significato niente.
Il viaggio
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